Ecco dunque che questi contrasti appaiono ideali
(come spesso in Shakespeare) per esaminare gli equilibrismi
esistenziali dell’uomo e della donna di oggi, gli scambi dei
ruoli maschile/femminile, le ambigue emancipazioni, i
fallimenti. Niente affatto una storia eroica e divina. Una
contesa privata, da camera da letto, per fare il punto
sull’amore (parola che sempre più ama nascondersi) e lo scontro
dei sessi. Insomma una commedia/tragedia sull’impossibilità di
stare insieme fino in fondo, dove, come già nei “Sonetti”, la
nostra compagnia mette al servizio dell’ immaginario
shakespeariano le proprie ricerche sui linguaggi del teatro.
Già, perché abbiamo scelto di ambientare il
nostro spettacolo appunto in un teatro, dove una compagnia si è
riunita per provare “Antonio e Cleopatra”: una delle più grandi
storie d’amore mai raccontate deve così fare i conti con i
dubbi, le incertezze, i ripensamenti, le meschinerie degli
attori, mentre allarmanti coincidenze emergono tra i personaggi
in carne ed ossa e quelli di carta… dove finisce il teatro, dove
comincia la vita? Il teatro è vita già vissuta? La vita è teatro
già scritto? Il teatro è finzione proprio in quanto gli attori
vogliono illudersi di “non” essere i personaggi? Davvero
l’amore raccontato da Shakespeare può riguardare anche noi?
Noi, che non siamo eroi, che non siamo dèi?
Duccio Camerini
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