Nicla Boncompagni e Paolo
Sturni hanno dunque intenzione di valorizzare
particolarmente, nell’ambito della loro attività, il
significato del rapporto tra l’arte contemporanea intesa
come ricerca linguistica e sperimentazione, anche in
relazione agli “oggetti” - d’ornamento o d’uso - che
popolano la vita quotidiana, spesso ammantati di
un’intensa aura simbolica, e il linguaggio di quella che
può dirsi ormai “tradizione” pittorica o scultorea, sia
pure una “tradizione del nuovo”. In altre parole: porre
in relazione in modo stimolante e vitale la storia del
XX secolo, come insieme di idee e di atti creativi
sedimentati nel tempo, e il presente dell’arte, la sua
attualità più immediata, i suoi vari modi di essere
“attuale”. Una ricerca della “modernità” e della sua
essenza attraverso il lavoro di diverse generazioni di
artisti e designer, tutti a loro modo intenti a
cercare di comprendere ed esprimere la complessità di
ciò che potrebbe forse ancora chiamarsi “bellezza”,
magari attraverso stili inediti, inattesi e
sorprendenti.
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Una delle opere di
maggiore impatto e successo presenti nella scorsa
edizione (2011) della Biennale di Venezia (Padiglione
Italia – Sezione Lazio, Roma, Palazzo Venezia) è stata
una grande scultura in acciaio, ferro e vetro di Mario
Velocci, Syrinx, che il critico Giorgio Belli ha
così definito: “Syrinx è una macchina che
restituisce alla luce la compatta materia metallica
della sua base attraverso le dissolvenze della parte
superiore, costituita da canne di vetro, colonne aeree e
luminose, che emergono dalla metamorfosi
dell’impenetrabile saldezza del supporto”. Metamorfosi
della materia e della forma e mito della leggerezza,
della musica, della luce, sono alcune delle
caratteristiche dominanti del lavoro di Velocci, che
anche il percorso espositivo di questa mostra vuole
mettere in evidenza.
In un’epoca, come la
presente, dominata dalle immagini “immateriali”
dell’elettronica, dalla telematica e dall’informatica,
l’opera di Mario Velocci s’impone con grande forza
percettiva ed espressiva: appare tesa a indagare il
rapporto con la natura non in quanto fenomeno ma
in quanto primarietà, originarietà “mitica”,
spessore simbolico della materia. Per Velocci - che ha
scelto di vivere immerso nella natura, nella nativa
località di campagna, nel frosinate - la natura è molto
più che paesaggio: è un infinito corpo autogenerantesi,
di cui fa parte integrante la simbiosi corpo
dell’artista/corpo della scultura-pittura. Velocci non
chiede dunque forme e colori alla natura naturata,
all’aspetto del mondo che cade ogni giorno sotto il
nostro sguardo, ma alla natura naturans ,
principio generatore delle cose, delle loro sembianze e
delle loro metamorfosi . Il segno inconfondibile di
questa poetica può allora forse identificarsi con il
dissidio tra l’insondabile opacità della materia, la sua
densità e il suo peso, e una flessuosa, luminosa
leggerezza: il fantasma ammaliante e inafferrabile della
forma; forma come sintesi tra il respiro della materia,
che si diffonde in superfici sensibili e vibranti, e una
“concettuale” leggerezza, un cristallino nitore di
geometrie misteriose. Una sintesi che caratterizza tutta
l’intensa ricerca di Velocci, ed è già presente in modo
tanto delicato quanto incisivo nell’affascinante dittico
Impronta sonora (1978), che svela uno spazio
dove convivono, in modo singolare, astrazione e
concretezza. Si delinea così una riflessione, inquieta
ma anche ludica, proprio sull’esistenza degli opposti
nel pensiero umano e nella realtà percettiva. Sono forme
mentali e al contempo sensuali, quelle che lo scultore
fa scorrere nel creare il suo (il nostro) spazio, o
nello svelarlo come originaria compresenza di
astrazione e vibrazione sensibile. Mario Velocci è
sempre scultore, anche quando disegna e dipinge, quando
incide e lavora carta e cartone di diversa grana e
consistenza. Anche nei lavori bidimensionali, non esiste
infatti un “supporto”: i materiali si combinano e si
compenetrano, generando un “corpo” libero nello spazio.
Gli aggetti e le stratificazioni, gli assemblage,
da quelli minimali a quelli più consistenti, fanno sì
che i lavori di Velocci non siano quasi mai realmente
bidimensionali. Emblematici sono in tal senso i lavori
in cui unisce la carta, i pastelli e gli smalti,
l’acciaio e lo zinco, come Griglia o Lamiera,
del 1983, o l’affascinante Sonorità (2009), o
ancora lo splendido ciclo delle Partiture in rosso
(2011), dove il colore rosso lacca – letterale
fil rouge che segna tutto il percorso creativo
dell’artista – strutturato in listelli allineati in
scale crescenti o decrescenti, come quelle musicali, si
dispiega in una calda intensità sonora che
contrasta con l’elegante “freddezza” dell’acciaio. La
tensione tra i materiali diversi evoca il rapporto tra
forma reale e visibile e forma virtuale e invisibile, a
cui il colore dà un suono, come già scriveva
Kandinskij… Da qui anche la metafora musicale che segna
tutto il percorso artistico di Velocci. La scultura non
è più gravitas, massa, peso e densità, ma musica
e luce. Un lavoro, dunque, di alleggerimento, di
“sottrazione” e di rarefazione, a cui Velocci sembra
alludere anche nelle bellissime serie di opere su carta
Erosioni (2002) e Cancellazioni
(2003-2005).
La ricerca artistica
assume in Mario Velocci un‘intonazione misteriosa,
emblematica, rinnovando il senso di un’interrogazione
poetica sull’origine dello spazio. Un’interrogazione che
a più riprese Velocci ha consegnato ai suoi Libri
sonori in acciaio, ferro, cartone ecc., sigillandola
nel loro silenzio musicale : quasi una poesia
“ulteriore”, una “scrittura” misteriosa e segreta, che
proprio in fondo al rigore matematico-musicale del
disegno e della struttura trova un’imponderabile estasi
del sogno e dell’immaginazione.
NOTA BIOGRAFICA
Mario Velocci vive e
lavora a Monte San Giovanni Campano, in provincia di
Frosinone, dove è nato . Scultore, diplomato
presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, nasce da una
famiglia di contadini. Sua madre, Elena, figura
fondamentale nella vita dell’artista, lo indirizza verso
la scultura, facendolo semplicemente giocare con della
creta, nei campi ove si recano per il lavoro agricolo.
E cosi quelle mani diventano via via le mani di uno
scultore: “Contadino dell’anima dell’arte”. La sua
formazione artistica avviene sui banchi della scuola, ma
soprattutto sui campi di grano, nel lavoro della terra,
quella stessa terra da cui trae l’ispirazione per le sue
opere. La linea, che nel lavoro di Velocci diventa linfa
vitale di ogni segno, nasce dalla forma del becco
d’uccello, che poi negli anni si trasforma e si sublima
in linea rossa, segno emblematico di tutto il suo
lavoro.
Mario Velocci da anni porta avanti un
discorso artistico legato allo spazio, alla linea e al
suono, infatti molte sue opere sono letteralmente o
metaforicamente sonore, “sinfonie” scritte con note
d’artista. Tutta la sua strada è contraddistinta da un
segno di forza, segno nevralgico di una vita
trascorsa con le mani che arroventano il ferro, che
incidono la carta, che modellano l’acciaio e plasmano il
pensiero. L’artista ama il “caldo” acciaio per le sue
sculture, che si muovono e “suonano” con il vento, che
abbracciano e sfiorano l’essenza dell’aria, ama il corpo
rugoso della “carta”, che lui stesso strappa e ricrea
nello spazio di uno “spessore” materico, rosso di vita.
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SCHEDA
TECNICA
Sede:
ANTICHITÀ STURNI Indirizzo:
Via di Campo Marzio, 81 – 00186 Roma
Art
Director: Paolo Sturni
Mostra:
MARIO VELOCCI – SINFONIA 1977
A cura di: Silvia Pegoraro
Inaugurazione: giovedì 17 maggio, dalle ore
18.30
Periodo
espositivo: 18 maggio – 1° giugno 2012
Ingresso: libero
Orari:10.00-19.00
Informazioni:
tel. 06 6784240;
www.antichitasturni.it ;
info@antichitasturni.it Catalogo:
Edizioni Grafiche Turato - Padova, con testi di Nicla
Boncompagni e Paolo Sturni, Giorgio Belli, Martina
Velocci, Silvia Pegoraro.
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