Frangi infatti procede per
sintesi, per concentrazione, per stadi di successiva
sottrazione, poiché vedere, come scrive il curatore nel saggio,
«è un'operazione che si fa anche ad occhi chiusi». Se il
rapporto tra interno ed esterno delle pareti è caratterizzato da
un ritmo serrato, alimentato anche dalla presenza delle finestre
che alternano le tele, le tre opere sul soffitto parlano per la
sola presenza del colore, senza alcuna ansia di rappresentare il
cielo del Polesine, che è bello immaginare.
Alcuni tavoli, collocati nel centro della sala degli stucchi,
raccolgono invece i lavori che Frangi ha realizzato lavorando
sulle immagini dell'alluvione del '51, che gli italiani hanno
conosciuto grazie ai giornali e alla televisione. Sono foto in
cui in cui il colore aggiunto dall'artista addolcisce il dolore
del ricordo, e nello stesso tempo, rievocando quel tragico
evento del passato, rende quella sensazione viva e presente. In
questo modo Frangi riappacifica quello che sta alle nostre
spalle con i tanti paesaggi, reali o immaginari, che stanno
fronte al nostro sguardo.
Correda la mostra, realizzata con il sostegno di Dadadopo, un
catalogo con testi di Paolo Serafini, Luciano Zerbinati, Brigida
Mascitti e del curatore. |
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