Nella
sala al primo piano della Fondazione i preziosi
vintage di Pepi Merisio e al secondo piano
una serie dei più noti ritratti di Mario
Dondero. Fra le immagini in esposizione, di rilievo,
il ritratto di Paolo VI (Merisio, 1964) dal servizio
Una Giornata con il Papa e la fotografia di Mario
Dondero che ritrae un gruppo di grandi scrittori e che a
detta di Alain Robbe Grillet fu all’origine della
nascita del movimento che prese il nome di Noveau Roman.
E poi ancora: la contadina della Valle Cogne che nel
periodo della fienagione, con orgoglio e un pizzico di
ironia, trasporta sulle sue spalle e sul suo capo un
enorme cesto di stoffa colmo di fieno (Merisio, anni
Cinquanta), cui fa da contrappunto il contadino di
Dondero ritratto nel 2002 che con sguardo fiero, ma
solcato dalle rughe della fatica, mostra il suo
strumento di lavoro.
«Il
percorso fotografico di Pepi Merisio e di
Mario Dondero – spiega la curatrice Daniela
Trunfio – ha in comune un periodo storico,
gli anni Cinquanta e Sessanta, e una testata, quella
di Epoca, per la quale hanno lavorato
entrambi. Ma i punti di convergenza si esauriscono qui.
Gli
inizi di Pepi Merisio affondano nell’amatoriato:
la sua frequentazione del Circolo Fotografico Milanese,
alcuni premi
poi,
nel 1956, la collaborazione con il Touring Club Italiano
e con importanti riviste (dalle raffinate svizzere
Camera e Du a quelle legate al
Fotogiornalismo nazionale come Famiglia Cristiana e
internazionale come Stern e Paris Match,
fino alla chiamata di Epoca nel 1963).
Mario
Dondero
invece scopre la fotografia come prezioso e necessario
supporto alla sua pratica di giornalista di nera
a Milano Sera (anni Cinquanta), per poi iniziare
a vendere fotografia al settimanale Le Ore e
abbandonare la scrittura per collaborare alle più
importanti testate, tra cui
Il
Manifesto,
L’Unità, L’Avanti, Illustrazione
Italiana, Newsweek e molte atre.
Le
scelte di Pepi Merisio si collocano in un
preciso orizzonte: quello della cultura cattolica
fatta di fede, tradizione, conservazione
delle abitudini antiche, un po’ spiazzate alla fine
degli anni Sessanta dall’avanzare del nuovo. In quel
nuovo invece si immerge totalmente Mario Dondero,
nomade curioso dei cambiamenti, frequentatore del mondo
intellettuale, e al quale la militanza partigiana nella
Brigata Cesare Battisti della Val d’Ossola, ha insegnato
che doveva essere antifascista per sempre, e battersi
contro gli oppressori, gli sfruttatori, i criminali.
Il
microcosmo di Merisio è la cultura contadina
e la tradizione popolare della nostra terra che
costituiscono il corpus fotografico dei 28 volumi della
collana Italia della nostra gente e gli 11 sulle
Regioni Italiane, ma anche tutte le indagini che si
soffermano su luoghi, mestieri e ambienti che Merisio
documenta non solo con l’occhio attento del
fotogiornalista, ma anche con quello dell’antropologo
che teme la scomparsa di quanto rimane della civiltà
contadina.
Il
macrocosmo di Dondero va dal Maggio Francese
(si stabilisce a Parigi nel 1952), alla Grecia dei
Colonnelli, alla guerre di liberazione in Africa, alla
Berlino pre e post caduta del Muro e poi ancora Russia,
Spagna, Portogallo, Cuba nell’attenta osservazione della
fotografia militante.
Micro
e macro sono però due risvolti della stessa medaglia: la
fotografia sociale, umanista che sviluppa
il suo interesse nei confronti della gente e del
quotidiano, intesi come protagonisti del farsi della
Storia.»
«In
questo percorso espositivo – prosegue Daniela Trunfio
–
non ci interessa tanto ragionare sulle
icone che rendono celebri, con il rischio di
penalizzare una vita dedicata alla fotografia. Qui
vogliamo esaltare le personalità di due grandi che hanno
utilizzato uno strumento visivo per scrivere
indimenticabili pagine di storia non solo della
fotografia.
Per
godere appieno della mostra bisogna farsi osservatori
attenti dei dettagli contenuti nei reportage di Merisio,
come degli sguardi complici dei ritratti di Dondero, e
considerare come la lentezza, caratteristica
imprescindibile che entrambi hanno nel loro Dna, sia la
sola in grado di trasformare un singolo scatto in
un’immagine oltre l’istante, consegnata a noi
contemporanei per riflettere sul futuro. La loro
slow photography è un’attitudine mentale, un
modo di essere nella fotografia come nella vita. Il loro
punto di osservazione è ravvicinato e attento,
frutto di conoscenza e frequentazione. La camera
è un taccuino prezioso per sé e per gli altri. Una
lezione di grande Fotogiornalismo secondo il quale si
fotografa solo ciò che si conosce.
In una
riflessione di Dondero probabilmente sta il compendio di
una vita vissuta per entrambi gli autori nella
ricerca della verità, attraverso gli
scatti: “Ho sempre cercato di essere il più
semplice e lineare possibile. E poi non si deve perdere
di vista la verità. Mi infastidiscono le costruzioni
artificiose. Malgrado tutto, esiste un’autenticità che
il fotografo può restituire. Ma occorre essere leale,
franco, generoso”».
La
mostra di Pepi Merisio è accompagnata dal volume
Pepi Mersio – Collana Grandi Fotografi,
Fiaf 2007 (Euro 25).
Si
ringraziano per la collaborazione: Imago Art Gallery
(Monterosso), Galleria Ceribelli (Bergamo).
Le photopress sono scaricabili da:
www.flickr.com/photos/fondazionebottarilattes/sets/72157630855312758/
Pepi Merisio,
nato a Caravaggio (Bergamo) nel 1931, comincia a
fotografare da autodidatta nel 1947. Progressivamente
protagonista del mondo amatoriale degli anni Cinquanta,
è oggi considerato uno dei principali fotografi
italiani.
Ha
ottenuto prestigiosi riconoscimenti tra i quali: New
talent of Popular Photography (New York, 1963), Premio
Fermo Reportage Fotografico (Fermo, 1963), Premio
Nazionale Fotoreporter Italiani (Milano,1964), Premio
Internazionale Fotogiornalismo (Genova, 1965).
Nel
1956 inizia la collaborazione con il Touring Club
Italiano e con numerose riviste: Camera, Du,
Réalité, Photo Maxima, Pirelli,
Look, Famiglia Cristiana, Stern,
Paris-Mach. Nel 1962 passa al professionismo e
l'anno seguente entra nello staff di Epoca. Nel
1964 pubblica sulla popolarissima rivista, il suo grande
servizio Una giornata col Papa, avviando così un
lungo lavoro con Paolo VI.
Nel
1972 la Rai gli dedica una puntata della trasmissione
Occhio come mestiere, curato da Piero Berengo Gardin.
Nel 1979, per la Polaroid, esegue un reportage in bianco
e nero ora conservato nella Collection Polaroid
International di Boston. Nel 1982 è l'Editoriale Fabbri
che lo accoglie nella collana I grandi fotografi.
Nel 1988 è nominato Maestro della Fotografia Italiana
dalla Federazione Italiana Associazioni Fotografiche.
Nel 1989, insieme a Roiter e a Gianni Berengo Gardin,
rappresenta l’Italia nel volume commemorativo dei 75
anni della Leica.
Più di
cento i volumi fotografici pubblicati. Per l'Editrice
Atlantis e Zanichelli ha realizzato undici volumi sulle
Regioni d'Italia, e otto volumi per la Bolis sulle Terre
Marchigiane. Per il Centro Studi Valle Imagna ha curato
Per le antiche strade (2003), Acqua
(2003), Un altro Paese (2005) e In Valle
Imagna (2009). Nel 2008 realizza per il Ministero
degli Esteri il libro Piazze d'Italia. Con Mario
Luzi ha pubblicato il volume Mi guarda Siena
(2002).
Nel
2010 la Regione Lombardia ha ospitato la sua
retrospettiva Ieri in Lombardia nella sede del
Grattacielo Pirelli a Milano.
Nel
2011 una sua opera viene esposta nel padiglione Italia
alla Biennale di Venezia.
Mario
Dondero,
figura leggendaria del Fotogiornalismo italiano, nasce a
Milano nel 1928 da famiglia di origine genovese. Dopo
aver partecipato giovanissimo alla lotta partigiana in
Val d'Ossola, pubblica nel 1951, il suo primo articolo
su Il Lavoro Nuovo di Genova. Collabora
successivamente con l'Unità,
Avanti!,
Le Ore, Cinema Nuovo, Settimo Giorno,
Il Mondo e
Milano Sera. Sono anni, questi, di scambio e
amicizia con gli artisti e gli intellettuali milanesi,
in particolare legati al Bar Giamaica, tra cui Ugo Mulas,
Uliano Lucas, ma anche scrittori come Luciano Bianciardi,
giornalisti come Camilla Cederna e artisti come Piero
Manzoni.
Si
trasferisce a metà anni Cinquanta a Parigi, dove
rimarrà, in un clima di scambio con i principali
intellettuali della capitale e di intenso lavoro per la
stampa francese (Le
Monde, Le Figaro, Le Nouvel Observateur)
fino a fine anni Novanta (se si esclude una feconda
parentesi romana, dove frequenta personaggi come Pier
Paolo Pasolini, Alberto Moravia e Dacia Maraini).
Gli
anni Settanta sono una stagione di viaggi in tutto il
mondo, per realizzare reportage di impegno sociale e
politico, dalla situazione in Algeria fino alla presenza
di Emergency in Afghanistan.
Nel 1985 vince il Premio
Scanno per un reportage fotografico sul mondo del
lavoro, pubblicato su Le Monde e
L'Illustrazione Italiana.
A metà degli anni Ottanta
si trasferisce a Fermo. Il rientro definitivo in
Italia è segnato dalla collaborazione con quotidiani e
riviste (Il Manifesto, Diario, La
Repubblica tra gli altri).
Nel
2008 l’Accademia di Belle Arti di Macerata gli
conferisce il Premio Svoboda al talento artistico.
Nell’ambito di Spilimbergo Fotografia vince il Premio
Friuli Venezia Giulia Fotografia e il Premio Chatwin a
Genova. Moltissime sono le mostre personali e collettive
che lo hanno visto protagonista, così come tutti i libri
a lui dedicati, tra cui basti ricordare, nel 2008, anno
del suo ottantesimo compleanno, gli importanti volumi
Dondero 4 20 e Donderoad.
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Info al pubblico:
Fondazione Bottari Lattes -
www.fondazionebottarilattes.it
segreteria@fondazionebottarilattes.it
– tel. 0173.789282