«Le loro opere – scrive il critico
d’arte Paolo Nifosì nel catalogo della mostra - disorientano e
attraggono allo stesso tempo, sorprendono e […] restano
enigmatiche. Si vorrebbe collocarle in una tendenza, si vorrebbe
trovare ascendenze, ma queste, se ci sono, sono molto vaghe e
per certi versi irrilevanti». «Eppure – prosegue Nifosì - hanno
coerenza, seguono un ductus chiaro. Alcuni animali, una
colomba, un toro, un elefante, due cervi, una giraffa, alcune
sculture classiche, il Marco Aurelio del Campidoglio, la Nike di
Samotracia, una Venere ellenistica, tutti resi col pastello, a
grana dura e a grana morbida, con grande perizia, fatti a regola
d’arte […], plasticamente resi con un disegno impeccabile, con
passaggi chiaroscurali delicati e solidi allo stesso tempo,
tutti soggetti contestualizzati in superfici e spazi neutri,
organizzati geometricamente in fondali che rimandano alla
Bauhaus, alle geometrie neoplastiche olandesi, alcune collocate
su piedistalli come monumenti».
Forme plastiche, dunque, che
diventano visioni metafisiche, sottratte al fluire del tempo e
rese attraverso una scala cromatica di grigi che esprime il
trapasso dal buio alla luce.
«Lavorano i nostri – scrive ancora
Nifosì - col grigio, col grigio danno tutti i colori. Il grigio
conserva in sé tutti i colori che possono essere percepiti da
chi guarda, spostandosi e cogliendo in questo modo la luce
fisica che colpisce l’immagine. Il loro è un procedere dal buio
verso la luce». |
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