In una
parola, al critico si chiede di contestualizzare
l’artista, utilizzando – una volta chiarita quella prima
grossolana definizione – tutta la complessità storica,
sociale, psicologica che si può estrarre da quell’opera,
senza escludere nulla che possa rendere unica e
contemporaneamente plurale quel pensiero, quell’azione,
quella forma. E poiché oggi, nella considerazione di un
lavoro, il “sapere” vale quasi quanto il “vedere” (a
volte anche molto di più), sapere che una relazione di
vita lega Fiorelli a Radi induce a guardare il loro
lavoro anche come prodotto di un legame che diventa, per
amore o per forza, una corrispondenza intellettuale, un
rapporto imprescindibile attraverso cui guardare i loro
lavori, specialmente se presentati – come in questa
occasione – insieme, e poco importa anche che essi li
abbiano elaborati prima del loro incontro, come di fatto
è stato: il lavoro d’arte cambia continuamente i
parametri con cui viene visto e considerato, anche se
formalmente resta identico a se stesso, e la
“comparazione” è un metodo critico che, quando se ne può
cogliere la possibilità come in questo caso, costituisce
per lo scrittore un invito cui non si sa rinunciare.
Dalle
categorie più ampie, allora, alle più delineate e
delimitate, allora. Fiorelli è razionale, Radi
sensibilista (forse l’arte è l’unica disciplina in cui
il contrario di “razionale” potrebbe anche non essere
“sentimentale”…). L’“oggetto”di Fiorelli si individua
subito, quello di Radi mai. Da una parte, cioè, esso si
manifesta, esce allo scoperto, viene configurato – anzi,
si configura quasi da sé – in un modo che sfugge persino
al controllo iniziale del rettangolo convenzionale della
tela o della tavola, per occupare lo spazio; dall’altro
si intuisce al di sotto di una pelle, come qualcosa che
si va formando ma della cui forma non siamo ancora
sicuri, e che preme su quella membrana superficiale pur
sapendo che non riuscirà mai a sfondarla. Ma, in due
aspetti così diversi, dove si può situare la
comparazione, che ha bisogno di un minimo comun
denominatore per poter innescare il meccanismo così
simile a un metronomo che prende la propria carica per
percorrere un arco che ne porta il pendolo dall’altra
parte proprio dall’essere all’opposto di quella
posizione? Eliminata una volta per tutte la parola
“astrazione” – che non vogliamo e non possiamo più
pronunciare, neppure aggiunta di qualsiasi
aggettivazione (analitica, lirica, eccetera…), pena
l’essere considerati passatisti irriducibili -, e che
pure risultava troppo vaga come definizione comune, ciò
che rimane – ma non è affatto poco! – è quella sottile
pellicola che non è se non lo stato fisico della
“superficie”.
Di qui
o di là. In Fiorelli e in Radi il mondo è suddiviso
dalla superficie, quasi si fossero divisi l’ambito del
visibile in modo da non darsi mai fastidio e da essere
felici: è chiaro poi che questa divisione del mondo non
è stata una decisione, ma una semplice constatazione, un
risultato di fatto, ma non è criticamente indifferente
(per tutto ciò che si è detto sulla contestualizzazione
delle opere) che una coppia nella vita si trovi a
condividere uno stesso mondo linguistico, ma al contempo
si limiti – per così dire – a un luogo che non sarà mai
– o che per lo meno non è mai stato sinora – il luogo
dell’altro, pur essendo il luogo fondamentale per chi
affronta il loro tipo di ricerca estetica. In questo
duplice caso, allora, la superficie dimostra tutta la
sua essenziale importanza, anche dopo decenni di
analisi, di uso, di violenza nei suoi confronti, operati
da artisti, agguerritissimi e decisi, di tutto il mondo:
essa continua a scandire il limite, come nell’arte
antica, come sempre…
In
Fiorelli tutto parte da lì, in Radi tutto arriva lì, e
la superficie si offre a loro – e a noi – con tutte le
sue potenzialità espressive, concettuali e – soprattutto
nel caso di Radi – fisiche. E’ la superficie che rende
opaca la forma che preme per uscire, ed è sempre la
superficie che rende smagliante nella sua chiarezza la
costruzione che in certi casi sembra addirittura
ignorarla. Semmai, i due artisti (ed è la loro
vicinanza, ricordiamolo, che rende ancora più evidente
la duttilità di questo elemento), aggiungono qualcosa a
quel “punto e linea sulla superficie” di cui si discute
ormai da cento anni: c’è infatti in loro una tale
pregnanza nel mostrare un “dietro” la superficie e un
“oltre” la superficie che non solo se ne rafforza la
presenza fisica, ma se ne allargano i confini
concettuali andando a costruire un luogo che
paradossalmente, da quella che per eccellenza è la
figura geometrica della bidimensionalità, genera una
propria “atmosfera” pulsante, a tre dimensioni”.
La
mostra rimarrà aperta dall’11 al 31 ottobre 2012
Galeria de Artes Visuales Centro
Cultural Ccori Wasi de l’Universidad Ricardo Palma
(Av.Arequipa 5198, Miraflores), Lima, Perù.
Apertura dal lunedì alla domenica dalle 11,00 alle 20,00
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