Normalmente la
forma operistica dell'intermezzo, tipica del melodramma
del secondo '800 e del '900, deriva dall'analoga forma
francese dell'entr'acte, di cui accoglie il carattere
descrittivo. È talvolta abbinata ad un programma,
descritto nel libretto. Si tratta di fatto di
un preludio che, anziché precedere il primo atto, si
colloca subito prima di uno degli atti successivi o
addirittura nel corso di un atto. Normalmente gli
intermezzi sinfonici sono pensati per essere eseguiti a
sipario chiuso, ma con alcune eccezioni. Alcuni
Intermezzi tuttavia, a causa della loro bellezza, sono
regolarmente eseguiti fuori della loro locazione in
forma di concerto.
Antonin Dvorak
Quartetto per archi n. 12 Op.
96 “Americano”
Dvorak occupa un posto di
notevole rilevanza nell'ambito della musica nazionale
ceca del secolo scorso. Egli non ha nulla del
compositore intellettuale e tormentato dai problemi
linguistici e tecnici: nella sua musica - da camera,
sinfonica e operistica - tutto scorre e si sviluppa
limpidamente e lungo una scia d’assoluta chiarezza di
idee, con una straripante pienezza di temi che si
articolano saldamente in una intelaiatura strumentale
densa di timbri e di ritmi di viva suggestione. Un
esempio di queste caratteristiche musicali di Dvorak si
ritrova nel Quartetto
op. 96, composto nel giugno del 1893 nella cittadina
di Spilville, popolata di boemi immigrati, nello stato
americano dello Yowa. Infatti, il quartetto prende il
nome di "Americano" anche perché contiene accenti e
richiami tematici del folclore statunitense così come
avviene nella Sinfonia
"dal Nuovo Mondo". Nel primo movimento domina un
tema avviato dalla viola e ripreso ampiamente dai
violini nel quale riecheggia chiaramente una melodia del
folklore americano, tra varietà di armonie e ritmi
sincopati, espressioni del sentimento di gratitudine
dell'artista verso il paese che lo ospita. Intensamente
emotivo è il secondo tempo Lento,
con la malinconica, cantilena dei violini e della viola
accompagnati dal pizzicato del violoncello; la frase
diventa sempre più insistente e scavata nel suo gioco
ripetitivo, sino a toccare con gli accordi gravi del
violoncello e con il lugubre tremolo della viola momenti
di sconfortante pessimismo. Nel terzo tempo cambia
completamente l'atmosfera e ci si ritrova tra le
affettuosità melodiche e le piacevolezze ritmiche
tipiche della migliore vena creatrice di Dvorak. Ancora
più esaltante e ricco di umori popolareschi è il Rondò finale,
una pagina di inconfondibile sapore boemo per la qualità
della musica spigliatamente naif, impostata su un vivace
e scattante andamento di danza contadina, che lascia
pensare ad antiche feste nuziali all'aperto.
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