“Quattro pittori verso quattro fotografi
e, naturalmente, al contrario, per stimolare, faccia a
faccia, il particolare e dettagliato rapporto della
reciproca influenza, almeno dal 1837, anno in cui
Daguerre inventò il dagherrotipo, perfezionato poi da
Talbot, agli anni ‘80/’90 del secolo passato, cioè a
quel momento in cui il concettuale stabilì,
sperandolo per certo, che l’opera d’arte non fosse altro
che un mezzo visivo per comunicare un atto mentale.
Consentendo così di superare le tante
ragioni, per lo più indiziarie, che avevano tenuto
lontana la manualità pittorica dalle operazioni per lo
scatto.
Del resto, raggiunte le proprie
individuali consapevolezze operative, entrambi -
manualità pittorica e scatto - avrebbero
consentito l’inevitabile evoluzione estetica prodotta
dalla storia e dalla interpretazione filosofica dei
tempi.
Per ragioni ovvie - documentate da
Daniela Palazzoli e Luigi Carluccio in “Combattimento
per un ‘immagine”, pubblicato nella primavera del 1973 -
si tralascia qui la straordinaria avventura delle
successive e progressive conquiste tecniche che,
altrimenti, avrebbero reso inconcepibile la moderna
storiografia artistica.
La pittura, per esempio, avrebbe
rinunciato, tra l’altro, al presupposto operativo di
produrre i segni significativi della propria
individualità per comunicarci le zone di personale
sensibilità cui era pervenuta e la fotografia avrebbe
rinunciato, assieme alla necessità di individuare
espressività inedite e originali specifiche, persino a
quelle oggettive funzioni documentarie e divulgative che
in molti le riconosciamo.
Dei “quattro verso quattro” diciamo,
pertanto, in ordine alfabetico, iniziando dai pittori: i
primi due, ormai notissimi, Gianni Carrea e
Flavio Costantini, e poi, proseguendo, con Enrico
Merli, il più giovane, che rimette in circolo e,
radicalmente, in questione, il realismo
tradizionale imparato in Accademia e, successivamente
con il sapido Lucio Nocentini che fonde, pieno di
spigliatezza decorativa e descrittiva, alcune
peculiarità proprie della scultura con le particolarità
calligrafiche dell’illustrazione satirica.
Si riprendano, conseguentemente, i
percorsi concreti fra estetica e vita per
verificare il confronto con i fotografi Carmelo
Calabria, Guglielmo De Luigi, Giorgio Leva e Vittoria
Mazzoni, per molti aspetti sorprendenti anche se
poco alternativi alle forme fissate dalla tradizione più
antica o poco collegati a certe ascendenze
post-dadaiste, caratterizzate da una configurazione del
tutto differente dello sguardo e meno rispettoso
di una maniera di fotografare ancora propensa
all’esaltazione romantica, per non dire a quella
cartolinesca.”(...)
Germano Beringheli
estratto
dal Catalogo della mostra
“L’artista
o il fotografo sia che interpreti un paesaggio, sia che
intenda delineare una figura, sia che si affidi alla
folgorazione di un momento, finisce ineluttabilmente per
raccontare se stesso. Succede anche al narratore. Non
può essere altrimenti dal momento che la memoria, la
cultura e lo sguardo si incontrano per celebrare un
intimo rito da affidare al gesto che non potrà mai
essere “obiettivo”. Paradossalmente anche l’“obiettivo”
della macchina fotografica si spoglia di una presunta
obiettività. Alla fine si producono immagini pittoriche
o riversate su una particolare carta che sono lo
specchio non solo della propria sensibilità ma anche
della sensibilità del tempo che si vive. Una sensibilità
che dovrebbe catturare l’attenzione di chi osserva e può
condividere, facendole proprie, certe emozioni. E
determinate esposizioni collettive di adeguata qualità,
capaci di proporre in modo sufficientemente ampio i
lavori dei partecipanti, possono rispondere a tale
esigenza contemplativa e cognitiva.
Cerchiamo pertanto di accostarci a questa
rassegna, che accoglie le opere di quattro pittori e
altrettanti fotografi, animati anche da tale curiosità.
(...)
Luciano Caprile
estratto dal Catalogo della mostra
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