A partire
dalla fine dell’ottocento con le esperienze di Paul Gauguin ed
Henry Rousseau, il primo con viaggi reali in Martinica ed a
Thaiti ed il secondo con escursioni fantastiche nei misteri
degli abitanti della giungla, nasce tra le avanguardie un
desiderio di ritorno alle origini, al primitivismo delle forme,
alla forza dirompente dei colori puri, rifacendosi visibilmente
alla scultura, al ritmo ed ai colori africani e ciò si ritrova
in artisti Fauve ed in espressionisti tedeschi come Matisse,
Derain, Vlamink, Kirchner, Pechstein, Schmidt-Rottluff.
Anche
Modigliani e Brancusi sono affascinati dalle fattezze e dalle
maschere del continente nero, prima considerate solo semplici
feticci e strumenti rituali e propiziatori.
Con il cubismo
si penetra nell’aspetto strutturale dell’Arte africana, in
particolare nella costruzione dei piani e dei volumi; Picasso,
Braque, Gris e Archipencko, già consapevoli delle intuizioni di
Cezanne, elevano in tal modo l’arte nera, da mero fatto
artigianale, a vera e propria espressione artistica. “Les
demoiselles d’Avignon” di Picasso è il prototipo e l’esempio più
famoso del contributo africano alla ricerca artistica
occidentale.
Tanti maestri
dell’arte contemporanea subiscono in qualche modo l’influenza
dall’arte africana: pensiamo, tra gli altri, a Léger, Paul Klee,
a Ernst, Mirò, Gabo. Citazione a parte merita Henry Moore,
capace di penetrare a fondo nella lezione formale dell’arte
nera. |
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