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La riscoperta
di Savelli non poteva che partire dalla Calabria che dedica un
doveroso omaggio al suo illustre cittadino nato nel 1911 a Pizzo
Calabro e che proprio in questa regione ha avuto i suoi primi
riconoscimenti con il Premio Mattia Preti ricevuto nel 1935 a
cui seguì la partecipazione alla Biennale di Reggio Calabria.
Sebbene nel 1954 si fosse trasferito a New York, non dimenticò
mai i legami con la sua terra e nel 1991 è stato aperto a
Lamezia Terme il Centro Angelo Savelli a lui dedicato.
La mostra presenta l'intero percorso dell'artista partendo dalle
prime esperienze figurative degli anni Trenta influenzate da
Renato Guttuso, per giungere sino a Where Am I Going una
della sue ultime testimonianze risalente al 1993-94. Non mancano
riferimenti al periodo romano con opere come Autoritratto
e Capriccio n.2, entrambe del 1940, proposte nel 2006 al
Museo Pericle Fazzini di Assisi nella mostra Angelo Savelli e
Roma curata da Luigi Sansone con un intervento critico di
Fabrizio D'Amico.
Questo iter di oltre sessant'anni comprende alcune delle sue
opere maggiormente emblematiche sia nell'ambito
dell'espressionismo astratto (in questo caso viene esposto
White Space già presente nel 1957 nello spazio della
galleria newyorkese di Leo Castelli), sia in relazione al lungo
periodo del "bianco" iniziato nel 1957 con Fire Dance in
mostra insieme ad una serie di lavori d'impatto monumentale come
Grande orizzontale, 1960, Speranza, 1961 Senza
titolo, 1962 o Going up,1980. |
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Come
afferma Wanda Ferro, Presidente della Provincia di
Catanzaro con delega alla cultura, "la grande mostra di
Savelli non è solo un doveroso omaggio al più celebre
artista calabrese del dopoguerra insieme a Mimmo
Rotella, ma rappresenta l'occasione per far conoscere
alle nuove generazioni il Maestro del Bianco che,
attraverso le sue opere, ha saputo esprimere il
desiderio di assoluto attraverso uno stile
inconfondibile."
La rassegna si avvale di alcuni nuclei particolarmente
significativi e può contare sui prestiti della
Fondazione Prada e della Fondazione VAF-Stiftung. Non
mancano, poi, le opere provenienti dal Mart di Rovereto,
dalla GNAM di Roma e dal Museo del Novecento di Milano a
cui si aggiungono i prestiti della famiglia Savelli e
degli spazi calabresi come il Museo Civico di Taverna e
il Centro Angelo Savelli.
Proprio dalla GNAM e dal Museo del Novecento provengono
due opere cardine della sua ricerca risalenti all'inizio
degli anni Sessanta come Consequence (1960) e
Shelter 12th Floor (1961), in genere custodite nei
depositi, che, grazie alla disponibilità delle due
istituzioni, possono finalmente essere mostrate al
pubblico.
"La mostra proposta al MARCA è destinata a rappresentare
una svolta nell'indagine critica di Savelli, un artista
che, nonostante abbia partecipato a cinque edizioni
della Biennale di Venezia e sia stato apprezzato dai
maestri dell'arte italiana e americana come Lucio
Fontana, Piero Dorazio, Barnett Newman e Robert
Motherwell, è ben lontano dai riconoscimenti che merita.
Questo, probabilmente, è dovuto all'assoluta libertà
della sua ricerca, alla sua indipendenza stilistica e al
rifiuto di ogni legame di carattere commerciale", spiega
Alberto Fiz direttore artistico del MARCA e curatore
dell'evento insieme a Luigi Sansone. Nel 1957, per
esempio, rinunciò ad un contratto con la mitica galleria
newyorkese di Leo Castelli che, di lì a poco, avrebbe
lanciato la pop art di Warhol e di Lichtenstein.
Savelli compie la propria rivoluzione trasformando il
bianco in un'inesauribile fonte d'ispirazione dove, come
aveva scritto Giulio Carlo Argan, il gesto pittorico
ritrova una "prassi di contemplazione" attraverso una
rinnovata concezione dello spazio.
"Inizialmente il bianco era legato al soggetto trattato,
complementare a questo. In seguito è diventato supporto
a se stesso, forza, senza essere legato a null'altro che
alla propria energia, " ha affermato Savelli rivelando
il significato della sua ricerca che crea un dialogo
particolarmente proficuo e stimolante con i Concetti
spaziali di Lucio Fontana, con i dipinti astratti di
Barnett Newman o con le tele bendate
dell'italo-americano Salvatore Scarpitta. Il rapporto di
stima e amicizia con Scarpitta risale al 1945 quando
entrambi erano soci dell'Art Club. Nel corso del tempo,
poi, hanno esposto insieme in diverse occasioni e nel
1988 Savelli, memore della passione di Scarpitta per le
auto da corsa, gli dedicò un piccolo lavoro bianco che
ricorda un casco da pilota esposto in mostra.
Anche il rapporto con Fontana inizia alla metà degli
anni quaranta quando, entrambi, espongono alla galleria
del Naviglio di Milano. Da allora i due artisti hanno
avuto contatti frequenti ed è stato proprio Fontana a
sostenere Savelli nel 1964 in occasione del suo invito
alla Biennale di Venezia quando ha vinto il Gran Premio
della Grafica. "Ci sono due forme di spazialità", ha
scritto Savelli. "Quella reale e terrena di Fontana e
quella mia che definirei eterica, in grado di comunicare
con il subcosciente."
Dopo essersi soffermata sugli esordi romani e sul
passaggio all'espressionismo astratto, la mostra
affronta l'universo bianco dove l'artista calabrese
interviene sulla superficie modificando i materiali (usa
il bianco titanio e prima ancora la sabbia),
trasformando i formati delle opere, scomponendo le
figure geometriche. Non manca, poi, l'utilizzo di
elementi concreti come le corde che fanno la loro
apparizione all'inizio degli anni Sessanta per poi
riaffiorare nei lavori finali dell'artista, come emerge
con chiarezza dall'allestimento della mostra. "Credo
queste corde costituiscano il ricordo della mia infanzia
quando stavo sempre in riva al mare", ha ricordato
Savelli. "Ma se inconsapevolmente mi sono riferito al
ricordo, la mia intenzione nell'inserire le corde nello
spazio compositivo è stata quella di accompagnare
l'occhio, in ritmo ellittico, dalla base all'alto
dell'opera e viceversa. La linea tracciata dalla corda
costituisce un accento dello spazio dividendolo e
unendolo nello stesso tempo." Le corde sono protagoniste
anche nelle sculture e a dare il titolo ad una delle sue
installazioni più famose, Dante's Inferno (in
mostra viene presentato un prototipo) dove
quest'elemento è inserito in strutture verticiali, è
stato Barnett Newman in visita nel suo studio a New York
che ha immediatamente messo in relazione il grande
lavoro plastico con il poema dantesco.
Negli anni Ottanta, la ricerca sulla geometria assume un
particolare significato e a dimostrarlo sono le opere
prive di telaio, con forme trapezoidali, triangolari o
romboidali esposte in mostra. Come scrive Luigi Sansone
"la geometria assume aspetti poetici e immateriali e le
forme sono rese più aeree da un'apertura centrale
anch'essa geometrica in cui, al posto della tela
asportata, appare un sottile e trasparente velo bianco
di nylon che limita anche i contorni. Il ritaglio
asportato posto a fianco della tela modificata crea una
nuova forma geometrica minore, fluttuante accanto alla
grande, a cui resta intimamente legata come una porta
aperta verso un'altra dimensione." È il caso di Going
Up, 1980 un grande lavoro che si estende sulla
parete per oltre due metri o di Dallas crossroad
dove i rettangoli s'incrociano creando imprevisti punti
di fuga. In tutte queste circostanze non manca
l'evocazione di Kazimir Malevich il pittore suprematista
russo che nel 1918 realizzò il Quadrato bianco su
fondo bianco, al quale Savelli si sentiva idealmente
legato, come dichiara egli stesso in un'intervista:" Ho
elaborato forme geometriche irregolari dando continuità
al primo quadro bianco realizzato, quello di Malevich."
Sono lavori che in America suscitarono grande
ammirazione e nel 1983 è stato un protagonista
dell'astrattismo come Robert Motherwell a segnalarlo per
conferirgli il prestigioso premio dell'American Academy
and Institute of Arts and Letters. Del resto, con gli
States Savelli aveva un rapporto ampiamente consolidato
e, sin dagli anni sessanta, insegnava, insieme a Piero
Dorazio, alla Pennsylvania University di Philadelphia.
Ed è proprio Dorazio a ricordare il talento dell'amico:
"Savelli, pur non essendo il direttore effettivo, era
quello che dirigeva tutte le attività, era quello che
aveva più influenza sui ragazzi e dava loro un autentico
orientamento. I suoi consigli erano preziosissimi anche
perché Savelli era un grande conoscitore della tecnica
della pittura e un grande maestro del disegno."
Per ricostruire la sua vicenda storica e umana, non
manca in mostra la sezione Savelli&Friends in cui
sono analizzati i rapporti di amicizia e di stima con
gli artisti che, in periodi differenti, hanno influito
sulla sua opera e tra questi vanno citati Renato
Guttuso, Afro, Piero Dorazio, Lucio Fontana, Salvatore
Scarpitta e Mimmo Rotella.
A questa sezione hanno collaborato l'Archivio Afro,
l'Archivio Dorazio e la Fondazione Mimmo Rotella.
La mostra è accompagnata da un ampio catalogo in
italiano e inglese pubblicato da Silvana Editoriale che
comprende i saggi di Alberto Fiz, Luigi Sansone, Tonino
Sicoli, oltre a testimonianze storiche di Giulio Carlo
Argan, Palma Bucarelli, Piero Dorazio, Renato Guttuso,
Vanni Scheiwiller. Non mancano, poi, gli scritti di
Angelo Savelli e gli interventi di Giuseppe Appella,
Michele Caldarelli, Teodolinda Coltellaro, Fabrizio
D'Amico, Flaminio Gualdoni, Marco Meneguzzo, Gianni
Schiavon e Antonella Soldaini
BIOGRAFIA DI ANGELO SAVELLI
La carriera artistica di Angelo Savelli è iniziata alla
prima metà degli anni Trenta quando da Pizzo Calabro, si
stabilisce a Roma nel 1929, per seguire i corsi alla
Scuola Libera di Nudo e iscriversi poi all'Accademia di
Belle Arti dove consegue il diploma nel 1936. Dopo un
lungo percorso attraverso differenti esperienze
pittoriche in Italia e in Francia che vanno dalla Scuola
Romana al post-cubismo sino all'astrazione, nel 1954 si
trasferisce negli Stati Uniti dove si avvicina
all'espressionismo astratto (1954-1957) per approdare
nel 1957 al "periodo bianco", la sua fase più celebre.
Da quel momento Savelli elimina dalla tavolozza i colori
e il bianco diventa il medium con cui per quasi quattro
decenni esprimerà la sua astrazione spirituale.
L'artista calabrese diviene un convinto sostenitore
dell'arte astratta e nella polemica apertasi
nell'immediato dopoguerra tra i promotori del realismo
socialista e quelli dell'astrazione e, spinto da
un'esigenza di rinnovamento, non può che condividere le
idee di questi ultimi.
Quando Savelli lascia l'Italia nel 1954 è già un artista
affermato, avendo esposto alle mostre organizzate
dall'Art Club in Italia e all'estero, alla Galleria
Nazionale d'Arte Moderna di Roma e per ben tre volte
alle Biennali di Venezia (1950, 1952, 1954).
La sua prima personale a New York risale al 1955 nella
sede della galleria The Contemporaries nell'ambito di
una mostra che comprende 12 serigrafie e 12 gouaches.
Nel 1957 partecipa ad una collettiva presso la Galleria
Leo Castelli dove l'anno seguente presenta una sua
personale molto apprezzata dalla critica anche se non
produce vendite.
I "bianchi" vengono presentati per la prima volta nel
novembre 1959 alla Tweed Gallery del Department of Art
della University of Minnesota, a Duluth e in quello
stesso anno è invitato a partecipare con alcuni rilievi
bianchi alla Quadriennale d'Arte di Roma.
Savelli ha sempre continuato ad esporre anche in Italia
in spazi prestigiosi, dal Cavallino, a Venezia, al
Naviglio, a Milano e in anni più recenti da Lorenzelli
di Milano e da Niccoli di Parma.
A New York nei primi anni cinquanta entra in contatto e
stringe amicizia con esponenti dell'espressionismo
astratto come Herbert Ferber, Barnett Newman, Robert
Motherwell, Philip Pavia, Ad Reinhardt, Theodoros Stamos
e Clyfford Still e proprio in onore di quest'ultimo
organizza nel 1963, insieme a Piero Dorazio una
personale all'Institute of Contemporary Art della
University of Pennsylvania, a Filadelfia; la scelta di
questa sede è dovuta al fatto che già nel 1960 Savelli e
Dorazio erano stati invitati dall'University of
Pennsylvania a Filadelfia a riorganizzare i programmi e
gli studi per il Dipartimento di Belle Arti.
La mostra personale al Padiglione d'Arte Contemporanea
di Milano nel 1984, in cui espone una serie di opere
"bianco su bianco", segna una svolta nella sua vita
artistica. Da allora, infatti, le sue opere vengono
esposte in numerose mostre pubbliche in Italia e in
America.
Tra i numerosi riconoscimenti internazionali vanno
ricordati il Gran Premio per la Grafica alla Biennale di
Venezia del 1964, in cui presenta una sala di opere a
rilievo "bianco su bianco", e negli Stati Uniti la
Guggenheim Fellowship (1979-1980) e nel 1983 il premio
dell'American Academy of Arts and Letters di New York
assegnato su segnalazione di Robert Motherwell.
Nel 1995, tre mesi dopo la sua scomparsa, il museo Pecci
di Prato, ha organizzato una sua grande rassegna. Nello
stesso periodo la Biennale di Venezia gli aveva dedicato
una sala personale. La sua ultima mostra pubblica è
stata organizzata nel 2006 dal Museo Pericle Fazzini di
Assisi.
Angelo Savelli. Il Maestro del Bianco, Catanzaro,
MARCA
a cura di Alberto Fiz e LuigiSansone
15 dicembre 2012-30 marzo 2013
Catalogo Silvana Editoriale
Mostre promosse dalla Provincia di Catanzaro-Assessorato
alla Cultura con il contributo della Regione Calabria
POR Calabria FESR 2007/2013, comune di Borgia, comune di
Zagarise, Accademia di Belle Arti di Catanzaro, Eosud.
Inaugurazione: sabato 15 dicembre 2012 ore 18,30
MARCA
Catanzaro
Via Alessandro Turco 63
da martedì a domenica 9,30-13; 16-20,30;
chiuso lunedì Ingresso: 3 euro; tel. 0961.746797
info@museomarca.com
www.museomarca.info
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