Aladino Nicoli, uomo e
pittore ingombrante, artista impegnativo quanto
impegnato, nasce sotto le bombe nel 1942 e cresce
nell’ambiente operaio, immerso in ideali e lotte
proletarie della Carrara del secondo dopo guerra. Già
marxista inizia gli studi artistici. Poi, giovane
“compagno”, parte militare e ritorna consapevole
militante, desideroso di rivoluzione e volontà di
un’indispensabile trasformazione sociale. Adesso le sue
opere hanno impressi e sparati come imposizioni, i nuovi
valori politici, intellettuali e morali: immagini reali
esasperate e crude, ribadite sovente tramite simboli,
autenticamente suoi, come marchi di fabbrica. Il guanto
è uno di questi emblemi, soggetto che sarà testimone e
portavoce di tutta la sua vita pittorica. Il guanto
prima, il guanto durante, il guanto dopo: guanto che
lavora, che produce, che ha contenuto; e poi il guanto
del consumatore, guanto svuotato, senza materia, privo
di sostanza, come l’individuo spersonalizzato. Un altro
fondamentale emblema, è lo straccio rosso abbandonato,
iconico della bandiera a terra, come degli ideali
decaduti e dei valori calpestati. Nell’anno delle
“convergenze-parallele” tra DC e PCI, si sposa e si
trasferisce nelle campagne vicino a Carrara, territorio
che diventerà il suo habitat per più di tredici
anni. Qui l’artista entra nel vivo
della realtà
contadina, respira la terra e ansima mentre la lavora;
si sporca e inaridisce le mani, non più soltanto di
colore, ma vi mescola il terreno, il profano e il
sudore. Riesce a mettersi in ascolto di quella gente che
in realtà non avrebbe potuto né saputo spiegare a lui
altro, perché per necessità, incolta. Nicoli accettava
comunque costoro così com’erano, li ascoltava, perché
avevano da addestrarlo alla terra, senza volontà di
catechizzarlo ad altro, se non al travaglio dello sforzo
fisico, alla consapevolezza della vita vera e al
guadagnarsi da vivere con vigore premuroso e costante.
In questo periodo, la sua pittura densa di narrazioni,
si mescolerà alla terra, alla realtà. In una costante
ricerca del vero, secondo un’ottica materialistica, dà
alla materia attribuzione di unica matrice reale, dalla
cui trasformazione tutto deriva, orientandosi però
sempre verso l’imprescindibile aspetto psicologico. Così
accade nei dipinti ritraenti gli ulivi, in cui i
secolari nodi divengono metafora delle cadute e dei
patimenti dell’uomo. Colori potenti e strillanti
scorrono nella forma circoscritta della corteccia,
inserita in uno spazio creatogli attorno: si fondono
come la vita che procede indisturbata, fino a
dissolversi nel medesimo spazio vitale. Nicoli ricerca,
tramite un procedimento dialettico, la realtà e ciò che
ad essa sfugge. Vita essenziale la sua, in costante
sacrificio che, purtroppo, alla fine degli anni ’80 lo
vede crollare per lunghi dieci anni, in compagnia
soltanto del suo pensiero. Abbandona l’arte come anche
la vita reale, vivendone una tutta e soltanto sua,
chiudendosi ermeticamente, mettendo da parte il pennello
come se stesso e i colori come la società. Soltanto
l’inizio del nuovo millennio sarà per lui una
rinascita
individuale e personale, ricostruzione e ri-messa a
fuoco della propria vista impressionata dallo scenario
esistente. Adesso si ridesta e si sente preparato per
calpestare nuovamente le vie solcate della sua tacita e
stridente Carrara, per poter rimboccare il cammino da
dove lo aveva spezzato. Si ri-addentra dunque nella
società, dove la sua austerità ed impenetrabilità
vengono forse lievemente smussate dal tempo e
dall’isolamento. L’artista, proprio in questo periodo di
auto-ricomposizione, maneggia e atterra su vecchi quadri
per ritoccarli, captandoli sempre come incompleti forse,
o cambiandone continuamente e volutamente la percezione,
come alla ricerca di qualcosa, del significato. Soltanto
su qualcuno faticherà in particolar modo, non riuscendo
mai a portarlo a compimento, come il raggiungimento
della sua utopia. Nicoli spinge il ritocco
all’esasperazione, estenuando di colore la forma
ritratta e la tela stessa, ridondante di
stratificazioni, tali da raggiungere matericità
smisurata e incapaci di esser sorrette dalla loro stessa
struttura. L’artista imprime i colori come impronte
sulla strada consumata della vita individuale, in una
sorta di pessimismo, che lo braccherà e fiancheggerà con
l’insistente ricerca dell’equivoco kunderiano: equivoco
inteso come fallace costruzione mentale, come realtà
parallela, se vogliamo, che induce conseguentemente ed
inevitabilmente all’errore. Equivoco che immobilizza e
non ammette possibile svincolamento né liberazione:
limite di sé, che fa da campo e scenario alla maggior
parte delle sue opere, rimarcato frequentemente dalla
cornice stessa, inchiodata, rigorosa e incombente.
Avvinghiato da questa paura, Nicoli, sbilanciandosi,
perde l’equilibrio, tanto da rischiare di sprofondare
addirittura nell’equivoco di se stesso, portandolo a
tacere le proprie opere per evitare di esporsi, secondo
lui, all’inevitabile travisamento dei testimoni; se è
vero però, che la realtà è continuamente in-divenire, il
limite sarà valicabile e al di là del tramonto forse
mostrerà un’alba.
Orari di
apertura:
Sabato
16.00/19.30 | Venerdì su appuntamento |