Musiche
originali scritte da Piji edite da
Edizioni Musicali Bixio
Aiuto regista
Davide Paganini
Fonico
Alberto Recchia
Assistente
alla produzione: Giovanni Paolo Ripa
Responsabile della produzione Antonio
Pizzolla
Ingresso
libero su prenotazione obbligatoria ai numeri
06 3225044
– 328 4112014
Per
esigenze televisive l'ingresso e' rigidamente fissato entro le
ore 20,30
Una storia che
coinvolgerà sentimentalmente gli affezionati tenchiani, ma non
solo. Gli anni '50, Genova, le notti insonni, il jazz, gli
amici, le donne, il successo, il tormento, il mistero... e uno
spettatore dal buio che ha deciso di parlare. Sono questi gli
ingredienti che condiscono la nuovissima versione teatrale del
monologo-intervista di Paolo Logli dal titolo Dunque
lei ha conosciuto Tenco?, già vincitore del Premio ETI
“Per voce sola 2006” ed interpretato in passato come lettura
teatrale dalla compagnia “Quelli che con la voce” e da Luca
Violini in molteplici occasioni. Ora l’originalissimo testo, che
con fantasia e pertinenza storica evoca la grande figura di
Luigi Tenco e del contesto in cui si muoveva negli anni
d’oro della sua attività attraverso i pensieri, le impressioni e
i ricordi di un testimone-ferroviere genovese, rivive sulla
scena grazie ad un’intensa interpretazione di Marcello
Mazzarella coadiuvato musicalmente dal quintetto capitanato
da Piji, il “cantautore piu’ premiato d’Italia” anche
autore delle musiche originali edite da Franco Bixio, e
formato da
Biagio Orlandi al sassofono,
Augusto Creni alla chitarra, Marco Contessi al
contrabbasso e Filippo Schininà alla batteria.
Il monologo –
che andrà in scena il 7 luglio alle ore 20,30 al
Teatro Golden di Roma e sarà registrato dalla
televisione, prende spunto da un aneddoto, una storia piccola e
forse marginale raccontata tempo fa in televisione da Arnaldo
Bagnasco, proprio all’interno di un programma di Paolo
Logli: Chiedi chi erano i Beatles.
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Nel
racconto si descriveva Tenco attraversare una galleria
della stazione Principe in equilibrio su un binario,
suonando il sassofono e sfidando un temporale. Un
episodio che esemplifica la personalità di un uomo che
non ha mai avuto paura delle poste in gioco, tanto da
sbeffeggiare con la sua stessa morte – sia essa un
suicidio o un omicidio ancora insoluto – il senso
dell’istituzione. Ed è proprio un anziano ferroviere,
Gino Grondona, che cerca , con parole sue, di cogliere
qualcosa del mito Tenco. Un animo semplice, che assiste
con gli occhi sgranati dell'uomo senza qualità a
qualcosa che oscuramente allude ad un desiderio e
racconta di quelle poche cose che sa di Tenco che lo
hanno sfiorato: Luigi e i suoi “amici famosi” (De Andrè,
Paoli, Villaggio…) sotto la pensilina della Stazione
Principe; qualche brandello di musica e d’amicizia
virile catturato andando ad ascoltarli suonare in una
cantina al centro di Genova (dove Tenco e i suoi amici
hanno suonato davvero); quell’attimo sublime, simbolico,
assoluto, di fronte al quale ci si sente piccoli
piccoli; il momento in cui Tenco – presagio di morte,
eppure promessa di vita eterna – attraversa la galleria
dei rapidi, durante una notte di tregenda, suonando
Summertime in equilibrio sul binario.
Una
messa in scena semplice concentrata sulla voce
dell’attore, vero e proprio strumento del concerto, ed
arricchita dalle note musicali dal vivo della formazione
dalle quali si sviluppa un dialogo interattivo che dà
forma ad un’autentica partitura orchestrale, a
sottolineare come le parole abbiano scansioni che si
appoggiano alle metriche del brano musicale, come
l’andamento ritmico dell’intero spettacolo sia
continuamente intrecciato, e come i contrappunti non
siano solo casuali, ma forniscano ulteriori chiavi di
lettura del testo. |
Uno spettacolo
che porta con sé anche un messaggio di affetto e speranza, come
sintetizzato dalle essenziali parole dell’ignaro ferroviere: “Non
è che Tenco non avesse paura della morte. Non ci credeva, punto
e basta.”
Note
dell’autore
Mi è
capitato di assistere a monologhi teatrali bellissimi, in cui la
funzione della musica era di intermezzo, quasi come se il
pubblico dovesse riprendere fiato dopo tante parole. Amo la
musica, e di solito mi infastidisce quando viene usata come
riempitivo. Una volta partito il brano, mi verrebbe voglia di
seguirlo, di lasciarlo sviluppare… e invece, quando le note
avevano assolto alla loro funzione di “voltapagina”, finivano
sfumate per lasciare posto alla recitazione: nella migliore
delle ipotesi, tappeto di sottofondo. Ecco, era esattamente quel
che non volevo fare.
Questo
monologo teatrale su Luigi Tenco nasce quindi come una sfida:
scrivere un testo in cui la voce recitante fosse solo uno
strumento – quello solista, certo, ma neppure il solo – di una
partitura. Insomma, mi piaceva pensare che ci fosse musica,
tanta, attorno alle parole che scrivevo. E che quella musica non
fosse solo un sottofondo. Così, nel mettere giù il copione, ho
annotato piccoli sinc e attacchi musicali che un giorno ci
sarebbero stati. Come una partitura per voce recitante e
quintetto jazz, in cui il testo è pensato “assieme” alla
musica.
Il jazz. Un
altro protagonista del testo. Un jazz sporco di ricordi pop, di
radioline, di canzoni ascoltate alla radio e appena
canticchiate. Un jazz da amare, e non da spiegare. Il jazz di
Tenco, di quella Genova che tra le prime ha accolto i suoni
americani, mescolandoli con la grande canzone francese. Di
quella Genova che proprio perché borbottona e introversa non si
è mai fatta avanti per dire: ehi, guardate che io il jazz l’ho
scoperto per prima. Almeno in Italia. Il Jazz di quei quattro o
cinque ragazzi che un giorno hanno smesso si suonare nelle
cantine e hanno deciso di cambiare per sempre la faccia della
canzone d’autore italiana. Mitologia? Può darsi. Ma fatta di
storie di tutti i giorni. E quindi con l’andamento sincopato
della musica nera.
Paolo Logli
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