In occasione
dell’inaugurazione di sabato 29 ottobre, la musica si
unirà alla pittura con il concerto del violinista Aaron
Berofsky (ore 21, Auditorium della Fondazione Bottari
Lattes). Apprezzato come uno dei più importanti musicisti nel
panorama culturale degli Stati Uniti, Berofsky si esibirà sia
come solista sia assieme alla pianista Valentina Messa e
al quartetto Xenia Ensemble, per proporre brani
della tradizione afroamericana, da William Grant Still a George
Walker ad Adolphus Hailstork. Doppio concerto per la chiusura
della mostra domenica 18 dicembre, quando si concluderà
anche la seconda edizione del festival musicale Cambi di
stagione: alle ore 12 il Trio Broz suonerà Mozart
e Sussmayr; alle ore17 Antonio Ballista proporrà una
panoramica di brani di cinquanta autori da Rameau a Brahms, da
Stockhausen a Crumb.
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Curata
da Vincenzo Gatti, la mostra “Su Carta”
presenta per ciascun autore una quindicina di opere
su carta, realizzate tra gli anni Sessanta e gli
anni Novanta. Offre la possibilità di riflettere sugli
aspetti comuni del percorso di due esponenti che
hanno segnato la ricerca artistica del Novecento: il
forte interesse per la grafica incisa e
l'uso elettivo del supporto cartaceo in pittura,
particolarmente nella fase della maturità espressiva.
In
esposizione disegni, incisioni, tempere
e tecniche miste, che testimoniano l'appassionato
fervore e la determinazione che hanno mosso
l'intenzionalità dei due artisti.
La
mostra è realizzata con il contributo della Galleria
Ceribelli di Bergamo, della Galleria del Ponte
di Torino, della Galleria Massucco di Acqui Terme
e con la collaborazione di Anna Maria e Giovanna Saroni.
«In
particolare – spiega il curatore Vincenzo Gatti
– è da segnalare l'attenzione
che Ferroni e Saroni hanno rivolto verso la grafica
incisa, a partire per ambedue dal 1956/57 e poi
facendosi sempre più intensa e contigua alle ricerche
pittoriche. |
Per
Ferroni l'incisione è stata l'occasione per misurarsi con
una tecnica severa e scabra e la sua scelta si è diretta verso
l'acquaforte, mai abbandonata, ma sempre rivissuta nella fiducia
verso il valore del “segno”, perseguita per quarant'anni, con
una puntigliosità di sguardi che lo ha portato, nei temi che
hanno costituito la sua cifra esistenziale (gli interni, gli
oggetti), a mettere a fuoco l'essenza delle cose, fino ad
arrivare, al termine della sua vita, a collocare le “cose” in
uno spazio di pure astrazioni, pulviscolare e remoto. Allo
stesso modo la sua pittura su carta depura la materia cromatica:
meglio della pennellata è lo sgranarsi della grafite o del
pastello. La transitorietà trasfigura la realtà, e la fisicità
esatta degli oggetti quasi si stempera nella luce che tutto
pervade, pazientemente evocata dalle tracce infinite lasciate
sui fogli.
Saroni
giunge alla “nuova figurazione” nei primi anni Sessanta, dopo
l'esperienza informale, e la ricerca grafica assume in
quest'ottica di rinnovamento particolare importanza. Per quanto
i linguaggi possano essere diversi per Saroni, come per Ferroni,
il vero costituisce l'irresistibile fonte d'ispirazione. Semmai,
l'approccio, la soluzione è ben altra. Il pittore torinese non
rinuncia mai all'incisività del segno, spesso traccia singola a
ribadire il tormento e la perfezione.
Gli impasti
aggrovigliati delle nature morte degli anni Sessanta ben
esemplificano le scelte di Saroni, e così la tipologia stessa,
irta e spinosa, dei soggetti proposti. Seguiranno, nella grafica
incisa, i grandi fogli composti da più lastre e da più colori,
dove viene proposta la figura, con arditi tagli compositivi e
inquieti inserimenti architettonici e vegetali. Solo negli
ultimi anni di una troppo breve vita, il dialogo fra le tecniche
(acquaforte e acquatinta) si fa più asciutto e disteso.
I dipinti
su carta sono poi una costante saroniana negli anni della
maturità, dai grandi formati dove il soggetto di natura quasi si
frantuma in schegge geometricamente concluse, agli acquerelli di
paesaggio, contemplativi ma “accorati”, pervasi da un sentimento
d'attesa nel balenare d'una nuvola temporalesca, o nei grafismi
allarmati di un pennello estenuatamente finissimo».
Gli autori
Gianfranco
Ferroni,
nato a Livorno nel 1927, in giovane età si trasferisce ad
Ancona. Dal capoluogo marchigiano si sposta a Milano e
successivamente a Tradate. Sul finire
degli anni Quaranta frequenta l'ambiente di Brera. In
seguito si lega artisticamente ai pittori del Realismo
esistenziale, rappresentato da Giuseppe Guerreschi, Bepi
Romagnoni, Mino Ceretti, Giuseppe Banchieri, Giuseppe
Martinelli, Floriano Bodini e Tino Vaglieri, che operano intorno
a metà degli anni Cinquanta con richiami alla filosofia di Paul
Sartre.
All’inizio
degli anni Sessanta diviene un esponente di punta della Nuova
figurazione, filone artistico che fa tesoro della lezione
pittorica dell’inglese Francis Bacon. Elabora un linguaggio con
chiari riferimenti alla pop art. Nel 1950, 1958, 1964 e 1968 è
invitato alla Biennale di Venezia, nel 1957 alla mostra
Italia-Francia, nel 1959 e nel 1965 alla Quadriennale di Roma
(dove ritorna a esporre nel 1972). Nel 1959 e nel 1969 partecipa
alla Biennale del Mediterraneo di Alessandria d’Egitto. Nel 1964
è la Biennale di Tokyo a consacrarne lo spessore da artista
internazionale. Contemporaneamente alla sua attività pittorica
porta avanti in modo proficuo quella di incisore, iniziata nel
1957.
Alla fine
degli anni Settanta con Sandro Luporini, Giorgio Tonelli e altri
artisti forma, il gruppo della Metacosa, con cui inizia
una nuova e fertile stagione pittorica. Le preoccupazioni e
angosce esistenziali che riesce a far convergere nei suoi
quadri, si arricchiscono allora di echi iperrealistici. Nel 1982
è invitato ancora alla Biennale di Venezia.
Negli anni
Novanta sviluppa un maggiore interesse per soggetti come gli
interni delle abitazioni, raffigurati nella loro nudità e
intimità metafisica. Nel 1999 è presente alla Quadriennale di
Roma.
Dopo la sua
morte, avvenuta nel 2001 a Bergamo, gli vengono dedicate varie
mostre, tra cui quella a Palazzo Reale di Milano, con testi di
Vittorio Sgarbi.
Sergio
Saroni,
nasce nel 1934 a Torino, dove frequenta l'Accademia Albertina.
Sostenuto dalla stima del critico d’arte Luigi Carluccio e
dall’appoggio della galleria La Bussola di Torino, comincia a
partecipare attivamente alla vita artistica italiana e
internazionale. L’ampio consenso critico lo conferma come uno
dei talenti più promettenti operanti nell'ambito dell'informale.
Partecipa alle
rassegne Francia-Italia nel 1955, 1957 e 1960 ed espone alla
Biennale di Venezia nel 1956, nel 1958 e nel 1962. Nel 1958
presenta quindici acquerelli al Brooklyn Museum of Modern Art di
New York ed espone al Carnegie Institut of Pittisburg. L'anno
seguente è presente con alcune opere alla V Biennale di San
Paolo del Brasile. In questi anni si indirizza verso la nuova
figurazione che sta maturando tra Torino, Milano, Roma.
Nell'ambito di una ricerca indirizzata verso una più lucida
oggettività dell'immagine, assume maggiore importanza la ricerca
incisoria, che l'artista perseguirà con costanza e
determinazione creativa per tutta la vita.
Si avvia
intanto l'attività didattica, prima al Liceo Artistico di
Torino, poi all'Accademia Albertina di Belle Arti, di cui sarà
direttore dal 1978 per tredici anni. A lui si deve il
rinnovamento dell'Istituzione e l'attenzione verso le istanze
contemporanee, la promozione di prestigiose mostre, la
riapertura della Pinacoteca.
Poche e
meditatissime occasioni espositive caratterizzano l'ultimo
decennio della sua attività: in particolare le personali alla
galleria Documenta di Torino nel 1981, a Milano nel 1983 alla
Compagnia del Disegno e nuovamente alla Documenta nel 1990 sono
da considerare altrettanti significativi eventi ,rivelatori
della sorprendente, progressiva tensione creativa del pittore.
Dopo la sua
morte, avvenuta nel 1991, nel 1996 l'Accademia Albertina gli
dedica un'ampia retrospettiva, a cura di Gianni Romano. Del 2006
è la mostra Saroni. L' ossessione del vero a cura di
Adriano Benzi, Vincenzo Gatti, Pino Mantovani, a Cavatore (Al).
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