Noi siamo ritratti in queste
fotografie anche se i nostri volti non compaiono. Noi. Tutti.
Nessuno escluso.
L?ambiente che il genere umano si
è costruito nel lungo corso del tempo è fatto di centri storici
ibernati nella glassa del restauro e di territorio deturpato dal
consumo.
Il bello è visibile e motivo
d?orgoglio.
Il brutto è abbandonato all?oblio
del non detto, in nome dell?ansia da produzione.
Meglio non vedere. E non dire.
Perché le parole possono fare rumore.
Qui, il fotografo coglie
l?invisibile. Invisibile e scomodo.
E presta la macchina fotografica
all?inespresso dolore della parola.
Alle immagini affida la
disperazione di ciò che non diciamo perché non possiamo.
La pellicola cerca tracce umane e
le ritrova abbandonate alla memoria di asfalti sconnessi sotto
metallici cieli in cerca di nuvole.
Si ferma a lato di strade deserte.
Tira fuori la disperazione dal
manicomio della vita e la chiama per nome.
Si inginocchia tra i rifiuti delle
discariche del quotidiano e incarcera nella drammatica fissità
della pellicola la terra desolata di un pezzo d?Europa, di una
parte dell?Italia del nord nel XXI secolo.
Alla fine del racconto: una rete e
le nuvole, la sabbia a distendersi sotto un cielo mosso di
speranza. Forse la partita non è finita.
Terra desolata.
Italia del nord, XXI secolo.
Fotografie di Claudio Lovecchio.
|