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FOTOGRAFIA D'AUTORE - Maratea (PZ)

FOTOGRAFIA D'AUTORE

Cura Giuseppina Travaglio

Testo critico di Dario Ciferri

Maratea Chiostro Istituto De Pino

 

Dal 14 maggio al 2 giugno 2011

Opening: sabato 14 maggio ore 18,00

 

" ... L'arte è ricerca continua, assimilazione delle esperienze passate, aggiunta di esperienze nuove, nella forma, nel contenuto, nella materia, nella tecnica, nei mezzi. ...” - Bruno Munari .

 

 

Sabato 14 maggio alle 18.00, presso Chiostro Istituto De Pino di Maratea (PZ), si inaugura la collettiva Fotografia d'Autore. La mostra è l'anteprima di Arteknè (Mostra Mercato Internazionale Arti Contemporanee) ed è a cura di Giuseppina Travaglio con il Testo critico di Dario Ciferri

 

La parola fotografia deriva da due parole greche: foto (phos) e grafia (graphis). Fotografia significa quindi scrittura (grafia) con la luce (fotos). Verso la fotografia, ruotano molti artisti appartenenti a movimenti diversi (arte concettuale, land art, body art, performance), interessati soprattutto alla critica d'arte, all'indagine estetica e all'approccio strutturalistico, adottando nuovi criteri di lettura e di giudizio che istituiscono legami sempre più stretti fra arte e percezione e arte e psicologia.

Oggi , più che mai, la fotografia è diventata una vera  espressione artistica.  è con l'arte Concettuale che la fotografia si stacca da ogni legame con la realtà pittorica e dalla  riproduzione della bellezza naturale del paesaggio in sé e per sé, per acquisire gradatamente un linguaggio suo, non legato a tecniche particolari. Oggi con l’avvento del digitale è cambiato in parte il mondo della fotografia. L’analogico e il digitale sono però due correnti di pensiero totalmente differenti dove l’uno non esclude l’altro. Il bravo fotografo è un artista eclettico. Lo stato emozionale  di ciascuno crea quell’immagine unica ed irripetibile che si chiama “Opera d’Arte”.  Con  “Fotografia d’Autore”  si vuole rendere omaggio a questa forma di arte . Fotografie essenziali, lente, di ampio respiro, forti, definite, analogiche,  digitali che immortalano solo la visione dell’artista, quella piena  di stupore che nasce da uno sguardo contemplativo, dalla scoperta di un angolo visivo particolare, da ciò che il fotografo riesce a vedere nel profondo, queste le opere presenti a “fotografia  d’autore”

 

 

FOTOGRAFIA D’ AUTORE

Testo critico

Dario Ciferri

 

Un viaggio attraverso la fotografia per offrire uno sguardo, certamente parziale, sul senso e sulla situazione della foto oggi. Questo linguaggio artistico ha ormai una storia molto ricca e negli ultimi anni ha segnato trasformazioni e modifiche tecniche impensabili fino ad alcuni anni fa. Il passaggio al digitale ha infatti permesso di intervenire sull’immagine con una semplicità e un’efficacia difficile da ottenere nell’epoca della pellicola, e tutto questo senza una perdita di fascino o forza del linguaggio, anzi riuscendo a rafforzarlo.

 

Un'aliena discesa nel nostro mondo viene rappresentata da Karin Andersen con Talk, la tecnica è quella spesso utilizzata dall'artista, dell’ibridazione delle specie ottenuta attraverso la manipolazione digitale della foto. L'alieno atterra e entra nel nostro mondo, un contatto che avviene in campo aperto, tra un ambiente naturale fluviale e una tecnologia algida e per noi solo immaginifica.

 

L'artista stessa entra nell'immagine, modifica il suo aspetto e si trasforma in aliena. È un viaggio verso la terra per poterla comprendere, capire l'uomo guardandolo da fuori, assumere uno sguardo esterno per vedere la realtà. È un contatto tra “diverso” e “normale”, un percorso in cui emerge che l'ibrido è un sentiero che passa attraverso ciascuno di noi, impegnati a dover comprendere le diversità che vivono e crescono quotidianamente nella nostra società. In fondo siamo tutti alieni, impegnati a nasconderci ogni giorno per non essere giudicati, per non perdere il nostro piccolo universo interiore.

 

Giovanni Battimiello con la serie Tienimi realizza una serie di foto stampate in modo analogico e montate su alluminio. Il soggetto del progetto è una corda da bucato su cui sono appese delle mollette, tutte diverse tra loro, riprese dal basso verso l’alto che si stagliano contro il cielo. Anche il colore del cielo si modifica e assume talvolta colori improbabili. Tienimi parla del desiderio del volo, del sogno di muoversi nel vuoto con la nostra materia corporea, di riuscire a superare la forza di gravità. È un desiderio che è sempre appartenuto alla specie umana e che è stato superato solo grazie all’uso di strumenti meccanici. La gravità rende possibile la vita sulla terra e le condizioni per cui nell’atmosfera ci siano le condizioni per l’esistenza delle specie viventi, eppure è proprio questa legge naturale a continuare a vincolarci alla superficie terrestre e, anche quando riusciamo a elevarci e a stagliarci verso il cielo, dobbiamo comunque aggrapparci a qualcosa per non precipitare.

 

Panoramica spiaggia di Piero Chiariello è un’opera stampata su carta analogica e montata su dibond. Per realizzare i suoi lavori l’artista parte da un’immagine fotografica preesistente o realizzata appositamente, la cancella in massima parte lasciando soltanto poche righe che successivamente dilata fino a rioccupare l’intera superficie del lavoro. Chiarello ci offre in questo modo l’opportunità di poterci addentrare nella profondità del reale, di ricercare l’essenza presente in ogni singola porzione di spazio e di materia. È una visione depurata che cerca di farci apprezzare ogni singola particella che compone il mondo intorno a noi, una ricerca della bellezza in senso assoluto. Eliminando porzioni di superficie l’artista intende spiazzarci, infatti toglie la componente consolatoria, che il riconoscere un paesaggio può avere su di noi, per restituirci ciò che normalmente non percepiamo. Ci pone davanti a una parte che rappresenta il tutto, realizza delle sineddoche visive che aprono la strada a nuove esperienze estetiche.

 

Con Piùmeno Roberto Cicchinè compie un'operazione di aggiunta e sottrazione di elementi, realizzando una serie di lavori in cui la fotografia è il mezzo per presentare un percorso intorno all'essere umano, alle sue paure, alle sue possibilità. Un lavoro di completamento totale è fatto attraverso il puzzle, tutto bianco ma con ogni tessera incastonata al suo posto, la bocca invece evidenzia subito un'assenza, manca un dente, una mancanza che però è anche segnale di crescita e sviluppo, perché è la bocca di una bimba che ha perso il dentino. Un percorso che è anche affettivo per l'artista, perché quello fotografato e il viso della figlia. Cicchinè attraverso la semplicità delle immagini raffigurate veicola un messaggio forte, che parla di lui, della sua vita, della sua ricerca di sicurezza. Un lavoro che guarda al futuro e ci mostra che non sempre l'assenza è una mancanza, e che il completamento rende chiaro l'insieme che abbiamo davanti.

 

Forest hill baths rientra nella serie Absence of Water, un progetto ancora in corso attraverso cui Gigi Cifali sta documentando lo stato di decadenza di alcuni bagni, piscine e lidi pubblici nel Regno Unito. Questi luoghi sono stati in auge fino agli anni ‘30 del secolo scorso, poi sono stati via via abbandonati, alcuni demoliti, perché ormai erano antieconomici e per il cambio delle abitudini della gente. Questo lavoro apre una riflessione molto profonda sull’acqua, sulla sua funzione fondamentale per la vita e sull’uso che ne viene fatto. L’acqua determina la ricchezza o meno è indispensabile per vivere e la sua mancanza porta inesorabilmente alla rovina, esattamente come è accaduto a queste piscine. Architetture di grande fascino che mostrano l’azione irreversibile del tempo, la rovina il senso di vuoto che le circonda e le riempie ma che sono testimonianza e memoria di un’epoca in cui quei luoghi erano pieni di voci e risa e il centro della vita della comunità.

 

Una riflessione ironica sulla violenza che si è perpetrata nel secolo passato, questa è rappresentata dagli Alimentari di Peter De Boer. Le immagini di due dei più sanguinari dittatori del XX secolo, Idi Amin Dada e Pol Pot, vengono utilizzate infatti sulle confezioni di cioccolato e riso. Le due foto sono ottenute attraverso la manipolazione digitale dell’immagine. Peter De Boer prosegue con questi lavori nel suo lavoro di ricerca e denuncia dell’assurdità della violenza umana. Una ferocia che nel secolo scorso è costata la vita a milioni di persone, attraverso, guerre, deportazioni e genocidi, una strage che spesso si è fatto finta di non conoscere e non vedere, per interessi politici economici e per convenienze di vario tipo. La cioccolata Idi Amin e il riso Pol Pot ci raccontano esattamente questo, un’abitudine alla violenza che quotidianamente ci fa chiudere gli occhi per non sentire e non vedere. Una storia che non è finita con la fine del primo millennio ma si è ripresenta identica ogni giorno, anche oggi.

 

L’essere umano si è da sempre dovuto confrontare con la morte, cercando di capirla, di affrontarne la paura e sognando di poterla dominare. Danilo De Mitri racconta questo rapporto portandoci all’interno delle complesse città che abbiamo costruito per conservare le spoglie dei nostri cari: i cimiteri. Strutture edilizie ideate per separare i morti da noi (anche per ragioni igieniche) e per perpetuarne il ricordo. A segnare questo percorso tra lapidi, tombe, loculi e fiori è un ragazzo con il volto di Topolino. Le immagini sono di una quotidianità un po’ assurda, vediamo infatti questo nostro Cicerone mentre si aggira nei diversi angoli del cimitero, sempre accompagnato da una sigaretta accesa. Ironico e spiazzante il lavoro di De Mitri ci offre la possibilità di ripensare il nostro rapporto con la morte, lo normalizza inserendovi come tramite un personaggio della fantasia, va ad interferire con una delle parti più controverse del nostro animo.

 

Armando Fanelli attraverso Password compie un lavoro intorno all’uomo, all’omologazione, al bisogno di libertà e di connessione. Gli scatti, realizzati in digitale, ci mostrano una serie di sacchi a pelo allineati e subito dopo un gruppo di persone in piedi al di fuori dei sacchi stessi, in un dittico visivamente e simbolicamente molto forte. Il sacco è come una crisalide al cui interno siamo tutti uguali, omologati, e nel momento che iniziamo ad uscirne che emergono le personalità, le prospettive i sogni di ciascuno. Password è la chiave attraverso cui questo processo si compie, nel momento in cui immettiamo il nostro codice, riesce ad emergere la nostra individualità che insieme alle altre dà vita a una collettività complessa, ricca e viva. Questo modello sociale appare, però, contraddittorio, perché l’emergere dell’individuo appare vincolato a codici che gli permettono di relazionarsi col nuovo mondo che stiamo creando.

 

NòART è il nome di un progetto audiovisivo che unisce due artisti, Fenis e Casbah e che secondo il tipo di linguaggio utilizzato vedono il prevalere dell’uno o dell’altro, le immagini proposte, in questo caso, sono di Fenis-NòART. La foto è un’esigenza comunicativa personale. Gli scatti catturano semplicemente momenti in cui l’obiettivo prende non solo il soggetto della foto, ma anche l’attimo di fusione tra l’artista e l’oggetto, attimo di fusione che entra nella coscienza e viene poi fuori nel momento in cui si riprende la foto scattata. A questo punto vengono fuori le parole che vanno a lasciare una traccia nell’immagine. Ogni foto è nominale perché su ognuna è scritto in qualche posto il suo titolo. La scritta vuole allora mettere in risalto questa semplificazione, porci di fronte a questa evidenza. Il filo spinato segna un confine, la maniglia cigola. La valenza all’immagine deriva dall’oggetto stesso e dal legame che assume con il fotografo, così il filo spinato è preso da una stazione chiusa che si lega a dei particolari momenti della vita dell’artista.

 

Le foto di Emilio Maroscia ci parlano del mondo, di frammenti di vita incontrati un attimo e ripresi attraverso la propria macchina digitale. Le immagini ci mostrano la Bolivia, la sua gente, la sua vita, i suoi colori, il paesaggio. Apparentemente non c’è nulla di nuovo in questo, sembrerebbe il classico resoconto di viaggio di un fotografo europeo, fatto di bei scatti e bei colori, un lavoro che insomma cerchi di soddisfare i gusti estetici del nostro territorio e il nostro desiderio di esotico. Maroscia, però, non si ferma a questo, compie un’operazione più complessa e porta avanti un discorso più profondo. Le sue foto sembrano parlarci, i visi ci comunicano l’ansia, la gioia, la fatica, la speranza. Si legge il cambiamento che la gente sta vivendo, sia personale che come paese. È stato detto che non è stato Maroscia a scegliere la Bolivia ma la Bolivia a scegliere lui, e questo probabilmente è vero. Dagli scatti emerge l’amore per quella terra, da parte della gente che vi abita e sua.

 

Fin dove si può spingere la possibilità umana di ibridare le specie? Dove ci sta portando la ricerca genetica? Carla Mattii dà forma alle contraddizioni a cui la genetica ci mette di fronte, lo fa realizzando dei fiori, bellissimi, che non esistono in natura, fiori creati dal montaggio/fusione di altre specie vegetali. Piante che poi prendono forma nelle opere fotografiche, nei kit-scultura, nei lightbox. Questi ultimi, realizzati stampando le immagini su duratrans, mostrano anche l’habitat in cui queste nuove specie vegetali si trovano a crescere e vivere. Le opere della Mattii colpiscono per la bellezza e il fascino che i suoi fiori emanano, ma nello stesso tempo ci pongono davanti alla questione se quello che stiamo percorrendo sia o meno una strada corretta. Lascia perplessi soprattutto la possibilità che l’uomo si sta adducendo di modificare e controllare la natura, un potere immenso che sta scardinando leggi che governano da sempre la vita e l’equilibrio delle specie sul pianeta.

 

Ogni giorno siamo investiti da milioni di informazioni, immagini, suoni, video, in un labirinto mediatico che ci circonda, affascina, spesso soffoca. Antonio Montano parte da questo continuo e fluido flusso di informazioni per costruire un universo artificiale dove si fondono frammenti di quotidiani, di riviste, immagini che vengono tagliate, rielaborate in digitale e ricombinate in un nuovo contesto. Un mondo artificiale, si è detto, che offre continui rimandi al mondo della comunicazione, del cinema, dello show business. È tutto più facile e il risultato di questo processo alla fine viene stampato su carta fotografica e montato su communication, dibond o plexiglass. In questa nostra epoca in cui ci troviamo sopraffatti dalle informazioni, il lavoro di Montano riesce a intervenire, anche in maniera ironica, sui codici linguistici e a mostrarne limiti e artifici. È un gioco serio, uno smascheramento della patinatura che circonda l’ambiente dello spettacolo, per riappropriarsi della libertà e del gusto di inventare una storia.

 

Sabrina Muzi propone un’opera che parte dalla natura per parlare del mondo, della storia e dell’uomo. Un albero legato con una corda, stretto, imprigionato e torturato. Una costrizione che però non riesce a bloccare la natura della pianta, e infatti tra i giri della corda vediamo spuntare dei germogli. L’artista ha realizzato queste opere durante un viaggio in Cina, ha fotografato gli alberi piantati a lato della strada. La corda di bambù è stretta intorno a della plastica per cercare di far crescere dritte le piante. Un elemento che viene inserito per piegare la natura a regole imposte dall’uomo. La pianta si piega certamente alle regole che le vengono imposte ma nello stesso tempo reagisce e cerca di ritrovare un suo percorso Un adattamento che, nonostante il controllo, porta l’albero a cercare un sistema per potersi riprodurre. Let me dance è una serie di 13 scatti grandi 33 x 26 cm, stampati su carta, capace di cogliere e raccontare l’energia incontenibile della natura.

 

Silvestro Reimondo concentra la sua attenzione sulla natura, raffigurando delle vigne durante il periodo invernale. La neve caduta scende a cancellare i segni dell’intervento umano, arrivando ad ottenere quasi un senso metafisico nell’immagine. L’uso del bianco e nero è fondamentale in questo procedimento, un bianco e nero la cui capacità di astrazione è accentuata, lavorando sulla luce in sede di camera oscura. La fatica dell’uomo, il lavoro nei campi, il rapporto unico, bello ma spesso difficile del contadino con la natura, si trasformano in un’opera d’arte. Le linee regolari di un vigneto creano così un arabesco misterioso, una partitura musicale, un segno della creatività umana in armonia con la natura. Reimondo esprime un pensiero sulla natura, sull’uomo, sul mondo contemporaneo, sulla sua possibilità di modificare il paesaggio e sullo stupore che sono in grado di provocare le sue opere. Le immagini diventano allora la forma metaforica di una condizione esistenziale, mostrando la potenza e la bellezze della sostanza al di là di quello che è immediatamente percepibile.

 

Stefania Ricci propone un trittico che fa parte della serie Insiemi naturali. L’artista ha preso dei frammenti di natura, come i fili d’erba, e li ha buttati sulla carta, una volta accesa la luce il soggetto è venuto fuori. Sono nati dei mondi piccoli, fantastici, forme astratte capaci di dare voce e ricreare stati d’animo. La tecnica utilizzata è quella della fotografia a contatto, lavori concepiti attraverso la foto-grafia, nel senso letterale del termine: scrittura di luce. L’ingranditore fotografico diventa come una penna, la superficie di scrittura e costituita dai materiali utilizzati. La stampa infine è effettuata con pigmenti di carbone su carta cotonata naturale. Una ricerca di materiali e linguaggio che è anche un viaggio dentro se stessi, un percorso che vuole proporre una contatto nuovo con la natura, proiezione dello spirito e della fantasia dell’artista. Frammenti, segni, impressioni riuniti sulla superficie per creare una traccia, uno scritto, che dalla luce vada a impressionare il foglio e l’occhio di chi osserva.

 

Le opere presenti di Mimmo Rubino segnano due momenti del suo percorso artistico. the Snake! è una serie di opere in cui vengono riprodotte varie fasi del celebre videogioco. Le foto sono su pellicola ad alta definizione, scattate con un banco ottico formato 12x10cm, trasportate poi eventualmente su alluminio. Le sue sono sedute di gioco/lavoro in cui cerca di ottenere delle forme, spesso delle parole come HOME, oppure ANSIA. Concentrato nell’attimo ambiguo che c’è tra linea  e parola, il lavoro può condurre anche alla fine del gioco pur di ottenere il risultato voluto. In Cross lo specchio in un interno degradato l’artista ha disegnato metà di una croce, poi utilizzando uno specchio ha ottenuto la forma completa. Al centro della croce ha posto un Gesù con i guantoni da Boxe al cui corpo il mirroring dà un alone sacro. Non è possibile sapere se sia un perdente o un vincente, conoscere la sua forza, è impenetrabile, esattamente come il posto in cui si trova. Vive in questo luogo sospeso tra la profondità dello spazio e la piattezza della croce.

 

Un’intuizione, una suggestione, una riflessione possono essere il motore che fa accostare due immagini nei dittici di Marco Scozzaro, creando a livello mentale un legame tra cose che apparentemente potrebbero anche avere poco in comune. In Défricher/Déchiffrer compie questa operazione stampando in Digital C-prints una serie di opere che si muovono intorno all’uomo e ai suoi insediamenti urbani. Un’osservazione sulla città che muta, si trasforma e cerca di coprire la propria memoria. Le tracce delle vite passate allora scompaiono vittime della necessità di recuperare spazi. Ed è in questo rapporto tra l’uomo e lo spazio che i lavori di Scozzaro trovano il loro motivo portante. Nuova Donatella è un’impresa ormai chiusa e abbandonata, che sta per essere ristrutturata per cambiare il suo utilizzo, a questa immagine l’artista affianca la foto di una giovane ragazza nuda con gli occhiali, creando un legame tra il decadimento di un nuovo ormai finito e la giovinezza destinata a scomparire.

 

Rita Soccio sfrutta un messaggio conosciuto e interviene al suo interno per veicolare un altro messaggio. In queste stampe digitali su alluminio l’artista prende uno dei simboli più conosciuti del mercato sentimentale e ne stravolge il senso, modificando il messaggio che il Bacio porta al suo interno. Il posto di una trita frase d’amore è preso da un articolo della nostra Costituzione, da uno di quei principi fondamentali che i padri costituenti misero alla base dell’ordinamento della nostra Repubblica. In un’epoca come la nostra, in cui continui sono gli attacchi alla costituzione e all’importanza di un equilibrio e di un controllo reciproco tra i vari poteri dello stato, è importante riappropriarsi dei valori e mettere al centro della vita della collettività la Costituzione, a partire dall’Art. 1. Il lavoro di Rita è un invito a riflettere e a resistere all’imbarbarimento che il nostro popolo e il nostro paese subiscono da parte di chi mette avanti sempre e solo i propri interessi personali.

 

I fiori possono avere tantissimi significati, possono parlare d’amore, chiedere perdono, esprimere cordoglio, vicinanza affetto. I fiori segnano i momenti importanti della nostra vita, accolgono un ospite quando viene in casa. Sono freschi, vivaci, vivi e appena appassiscono eccone altri pronti  a prenderne il posto. Rita Vitali Rosati ha realizzato un ciclo di opere che hanno come filo conduttore proprio dei fiori marci. Queste opere però non parlano di fiori, riflettono invece sulla sorte dell’uomo. Le immagini, stampate in digitale su alluminio, parlano di dolore, di malattia, del percorso che porta verso la fine, non della morte ma della consapevolezza della sua imminenza. La malattia è un momento fondante della situazione umana, tutti ne siamo stati, in qualche modo, toccati e segnati. Tentare di allontanare da noi questo fatto sarebbe solo un non voler vedere. È evidente la fragilità della situazione umana, una fragilità che i fiori ci mostrano immediatamente, attraverso la loro bellezza che può durare una settimana, un giorno o soltanto un’ora.

 

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