La tipologia
della lavorazione, tramite l’aggiungere di pezzi di
legno,
sinonimo del
formarsi delle persone come individui alla ricerca di
loro
stessi, di una
propria identità ed immagine, si sviluppa inizialmente
con il taglio
di questi. Successivamente comincia la danza del
togliere
e
dell’aggiungere materiale, similmente ad un collage;
talvolta
compattato
tramite colla vinilica ed acrilico, talvolta con
elementi
avvitanti. La
modellazione della forma, infine, si potenzia mediante
abrasione a
mano, per mezzo di mazzuolo, ed in prevalenza
dischi/carte
abrasive.
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CENNI
BIOGRAFICI
Mirko Della
Bona, nasce a Massa nel 1975, frequenta gli studi
accademici
nella città di
Carrara terminando nell’anno 2004.
Cresce
stilisticamente e concettualmente lavorando nel proprio
laboratorio di
Carrara.
Partecipa ad
alcune collettive, tra cui Castel San Niccolò Arezzo nel
2002, Fiera di
Marina di Carrara ‘Giorni d'Arte’ nel 2010 e in ultimo
nel 2010/2011
alla Galleria La Virgola di Castiglioncello.
Vive e lavora
tra Massa e Carrara.
CONSAPEVOLEZZA
- VOLONTA' – IMPOTENZA
a cura di Sara
Bastianini
Tematiche
complesse quelle trattate da Della Bona, figure le sue,
modellate e
modulate per addizione di molteplici elementi che ne
costituiscono
la completezza.
In Attesa 1,
le due figure ingabbiate sono bloccate e rinchiuse dalle
proprie
costrizioni, dalla vita stessa, intente in essa ed in
attesa
dell'inevitabile, la morte.
Uomo che si
rivela marionetta, involucro vuoto, automa; la
disarmante
consapevolezza
del senso dell'uomo esistente soltanto come società, in
caso contrario
la sua non risultanza, ne sancisce l'inesistenza, la
nonpresenza,
nonostante per
definizione, l'una sia imprescindibile
all'altra. |
Uomo libero di
uscire e svincolarsi da qualsiasi realtà per sentirsi
reale entità,
indipendente, autonomo, ma incapace di farlo, come se
perdente in
partenza dell’identità di se stesso. In Attesa 2
è tangibile
questo profilo
mediante la testa dell’uomo che oscilla, ma che in
realtà, rimane
dentro la gabbia.
La volontà
viene dunque spazzata via dalla presente consapevolezza
dell'impossibilità.
Incapace
l’uomo nel riuscire a spogliarsi di quella veste
inevitabile,
per poter
trionfare nell’appropriazione del mondo e della propria
vita;
di conseguenza
la figurazione di un uomo-rinuncia. Nella scultura
,
infatti, siamo spettatori e protagonisti di un’essere
scarno,
mendicante,
derelitto all’interno di un bidone di lordura caduto al
suolo.
Sconfinare dal
tutto. Da tutto ciò che sino ad adesso è stato.
Superare.
Sorpassare.
Valicare il confine e rendersi conto che, oltre quella
barriera
creata, non si è capaci di sopravvivere.
Questa gabbia,
talvolta in legno, talvolta in marmo, rappresenta l'uomo
costretto nel
“meccanismo che imprigiona”, sistema da esso stesso
generato, da
cui viene catturato e fatto prigioniero anche a vita.
Della Bona
collegandosi al Teatro dell'Assurdo ci propone un uomo
al di
là di
qualsiasi connotazione politica, sociale e storica, la
tragicommedia
dell'essere umano costituita intorno alla Condizione
dell'Attesa,
il destino, la morte, la fortuna. Il Godot beckettiano è
l'idea di
attesa, è l'attesa stessa, la sintesi di tutte le attese
e,
allo stesso
modo, come in finale di partita, è il pezzo del re messo
continuamente
sotto scacco dagli altri personaggi.
Dunque, si
tratta di voler rappresentare, la necessità di passare
il
tempo, ma
anche il protendersi oltre di esso; l'assoluta mancanza
di
senso e
l'altrettanta necessità di trovarlo.
Questo è
l'uomo, il giocatore di una partita a scacchi persa fin
dall'inizio,
che nel finale fa mosse senza senso soltanto per
rinviare
l’inesorabile
destino. Essere mutevole in continua evoluzione e
decadenza, che
si dimena nel tempo che scorre irrefrenabile nella sua
vita, cercando
di adattarsi alla miserevole condizione umana.
Questo
Uomo/Automa crea dunque argomentazione analoga nel
rapporto
Soggetto/Oggetto; l'oggetto inanimato che prende vita
per assorbimento
vitale di chi
lo ha creato.
Materia priva
di vita, vuota.
Spento oggetto
che giustifica la propria funzione, a cui l'uomo
procaccia
vita, rendendolo come lui è. Vivo.
L’oggetto
inanimato rispecchia l’uomo, è creato dall’uomo, per
l’uomo.
Quando l’uomo
finisce l’oggetto continua, privo della funzione datagli
fino a quel
momento, rimane.
Rimane il
futile, il leggero e ciò che non ha importanza.
L’effimero
diventa
duraturo. Adesso ciò che non conta e che non è, vede
tramontare
ciò che in
realtà è ed esiste. L’oggetto prende il posto
dell’essenza,
il manichino
duchampiano prende il posto di colui da cui è venuto,
che
lo ha creato a
propria immagine e somiglianza.
L'immensità
della vita è che essa scorra tra cose inanimate, tra
futilità, e
che sia proprio lei, a scomparire, per prima, per
sempre;
mentre tutte
queste piccole entità fondamentali che l’uomo crea per
esprimersi e
realizzarsi rimangono.
L’Arte.
Tutto è
effimero, la vita è effimera, noi siamo effimeri.