Oltre alle figure individuali, si è voluto
allargare lo sguardo alla dimensione collettiva di queste presenze femminili: a
quelle testimonianze cioè rappresentate dalle vicende di intere etnie, come nel
caso delle donne albanesi - messe in luce da Lucia Nadin - esuli
dalla loro patria conquistata dalle forze ottomane, e sbarcate a Venezia dopo
mille peripezie: qui verranno accolte con tutti gli onori e qui verranno
sostenute economicamente con la concessione di un donativo mensile fino alla
fine della loro vita.
Ancora si è voluto guardare, pur nell’episodicità
del discorso necessariamente vincolato ai limiti di tempo e di spazio
espositivo, alla dimensione collettiva sociale: rappresentata ad esempio dalla
singolare esperienza tutta veneziana delle “figlie di coro”attive nei
quattro grandi “Ospedali” cittadini, in particolare quello della Pietà e
degli Incurabili, dai cui archivi emergono nomi e competenze musicali;
o ancora dalle “dogaresse”, come
Morosina Morosini, che porta in dote nel suo matrimonio celebrato nel
1560 con il futuro doge Marino Grimani il castello di San Vincenti in Istria, di
cui si espongono due disegni del secolo XVI;
o Loredana Marcello, (1518-1572) che
il marito, il doge Alvise I° Mocenigo, ricorderà nel suo testamento autografo
con struggente tenerezza, parlando dell’”amore grandemente straordinario
che li ha uniti nel corso della loro vita.
Ancora si è indagato all’interno della dimensione
collettiva familiare come nel caso delle Tintorette o delle
Tarabotti: proposta quest’ultima particolarmente affascinante ed
innovativa elaborata dalle specialiste dei rispettivi ambiti di ricerca,
Melania Mazzucco e Francesca Medioli che sono uscite dai percorsi
consueti della biografia individuale per elaborare una nuova chiave di lettura
giocata in termini di trasmissione culturale all’interno di uno specifico nucleo
familiare: trasmissione d’eccellenza artistica in casa Tintoretto con le figlie
di Iacopo,
Marietta e Girolama e Lucrezia,
queste ultime divenute rispettivamente Suor Perina e suor Ottavia che ricamarono
su seta un paliotto d’altare riproducente con vividi colori ed eccezionale cura
dei particolari la Crocifissione dipinta dal padre per la Scuola Grande
di San Rocco.
E trasmissione di cultura in senso lato in casa
Tarabotti, dove non solo Elena /Arcangela a metà
Seicento scrive e compone, pur dal claustro del convento di Sant’Anna di
Castello, opere drammaticamente accusatorie come l’Inferno monacale
e La tirannia paterna contro le monacazioni forzate, ma anche la
sorella Caterina Agnese, data come allieva del Padovanino, tentò di realizzarsi
nel mondo della pittura, come attestano alcune testimonianze coeve, come quelle
di Marco Boschini ne “La carta del navigar pittoresco”.
La mostra, ideata e curata da Alessandra Schiavon
dell’Archivio di Stato di Venezia, espone circa 50 preziosi documenti originali,
e si è avvalsa come elaborazione del percorso di ricerca del contributo di
storiche e scrittrici come
Melania Mazzucco
e Adriana Chemello,
Francesca Medioli
e Federica Ambrosini,
Dorit Raines e Lucia Nadin
e Giuseppe Gullino, ai quali si deve lo specifico
approfondimento biografico.
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