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È un laboratorio
ininterrotto, un diario continuo in cui si assolve la necessità
interiore, "l’urgenza esistenziale" di possedere la realtà attraverso
l’immagine che la ricrea. Frequentando l’atelier del maestro Enrico
Longfils si muove attraverso sperimentazioni di “mezzi diversi”, dalla
matita, con cui soprattutto nello studio di animali insiste sulla
plasticità dei soggetti, alla penna con inchiostro di china, prima a
segni minuti e spezzati, poi a tratti più densi e continui, spesso
sciolti in liquide acquarellature, preludio alla Natura morta con
bottiglia, frutta e sveglia del 1970 in cui il disegno si dissolve
nell’impulso pittorico. A partire dai dipinti a olio degli anni Ottanta
s’intravede la lezione post-impressionista di Gauguin e di Van Gogh, di
Bonnard e di Matisse, con una materia pittorica plein lumière, piuttosto
che plein soleil. Le opere sul "Concerto jazz" del 2003-2008 grondano di
umori esistenziali, come se il pittore lasciasse nelle serrate maglie di
un’agguerrita sintassi simbolista i brani vivi, carnosi e sanguigni,
della propria natura primordiale, inutilmente nascosta, perfino
camuffata con ostinato pudore. Dopo aver scoperto il realismo spagnolo
di Joaquín Sorolla, il suo occhio indagatore, il detective del colore
dei Fauves, diventa nell’ultimo decennio, il puntuto, amaro artista dei
“bagnanti” e dei “nuotatori” e dei suoi vellutati "universi liquidi". La
narrazione acquatica è una sfida, un linguaggio impegnativo che si
avvicina allo straordinario dentro l'ordinario, all'empatia biologica,
alle vertigini dell'inaspettato. |