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Ritratto tipico di un
trentenne italiano. Solo che, quando il trentenne in questione si chiama
Aram e ha un padre iraniano, le cose si complicano un po’... “Io sono
uno di quelli che si riempiono lo zainetto di esplosivo e fanno saltare
la metropolitana di Londra… Se uno alto, biondo venisse qui a dirti: ho
lo zainetto pieno di bombe… tu ti metteresti a ridere, no?… Ma se te lo
dico io? Un brivido ti viene, no? Solo perché sono basso e nero. Che poi
non sono neanche tanto nero, al limite un po' olivastro…" In bilico fra
incanto, ironia e tragedia, Synagosyty racconta la storia dei nuovi
italiani, i figli degli immigrati, le cosiddette "seconde generazioni".
Attraverso la voce dell’attore protagonista, Aram Kian, Gabriele Vacis
costruisce un testo che è uno stralcio di vita e di memoria e, insieme,
uno sguardo al futuro di una società che impara, giorno per giorno, a
dare un significato all’aggettivo “multietnica”.
Ci occupiamo e ci
preoccupiamo molto, e con ragione, dei barconi che sbarcano a Lampedusa
i più disperati tra gli uomini. Ma non siamo abbastanza consapevoli dei
loro figli. […] Ragazzi nati in Italia […] ma che faticano a sentirsi a
casa nella loro casa, italiani nel loro paese.”
Aldo Cazzullo
“Lo chiamano arabo,
anche se è persiano; lo chiamano straniero, ma è italiano. Davanti alle
umiliazioni, il padre abbassa la testa e si scusa; lui s'arrabbia. E'
una schizofrenia “Lo chiamano arabo, anche se è persiano; lo chiamano
straniero, ma è italiano. Davanti identitaria che ha provocato tragedie
[…], e in Italia fatichiamo a comprendere. Peccato, perché sulla seconda
generazione ci giochiamo una fetta di futuro.”
Beppe Severgnini |