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TEATRO: MEDEA - Roma

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TEATRO ELISEO

1 | 17 Aprile 2014


Maria paiato

in

MEDEA

di Seneca

traduzione e adattamento Francesca Manieri

 

con Max Malatesta

 

e con

Orlando Cinque, Giulia Galiani, Diego Sepe

 

regia Pierpaolo Sepe

 

scene Francesco Ghisu

costumi Annapaola Brancia D'Apricena

luci Pasquale Mari

trucco Vincenzo Cucchiara

foto Pino Le Pera

aiuto regia Luisa Corcione

 

 

direttore di scena Clelio Alfinito

tecnico elettricista Carmine Pierri

realizzazione costumi Sartoria Orlì

assistente volontario scene Valeria Mangiò

assistente volontario costumi Claudia Volpe

assistente volontario regia Simone Giustinelli

grafica Luca Mercogliano

 

produzione

Fondazione Salerno Contemporanea

Teatro stabile d’innovazione

 

Sarà in scena al Teatro Eliseo dall’1 al 17 Aprile 2014, MARIA PAIATO in MEDEA di Seneca, traduzione e adattamento Francesca Manieri, con Max Malatesta e con Orlando Cinque, Giulia Galiani, Diego Sepe. regia Pierpaolo Sepe.

 

“Medea ha salvato gli Argonauti, ha reso possibile il loro successo e il loro ritorno, in particolare il ritorno del cantore Orfeo, colui che sulla sua lira fonda il sapere dell’Occidente. Ebbene, il cuore rimosso di questo Occidente è Medea, la sua ira cieca, il suo furore solitario. Un cuore nero e rimosso pulsa e giace sotto le fondamenta scricchiolanti di un intero mondo.

La sua furiosa ira deflagra, le fondamenta collassano e ciò che si mostra con mostruosa vividezza è la radice oscura di una colpa tanto universale da non avere più colpevoli. Le macerie lasciano la scena vuota di ogni ricostruzione, il futuro non è che lo spettro di questo atroce rimosso”.

Una straordinaria Maria Paiato si misura con Medea di Seneca, personaggio estremo e definitivo, ancora guidata dalla potenza rigorosa e visionaria di Pierpaolo Sepe. Prodotto dalla Fondazione Salerno Contemporanea, lo spettacolo ha debuttato in prima nazionale il 17 ottobre 2013 al Piccolo Teatro di Milano

 

Note

 

Questa è la tragedia dell’ira: “passione spaventosa e furibonda…[che] è tutta eccitazione ed impulso a reagire, è furibonda e disumana brama d’armi, sangue e supplizi, dimentica se stessa pur di nuocere all’altro…avida di una vendetta destinata a coinvolgere il vendicatore. …Inetta a distinguere il giusto ed il vero, quanto mai somigliante a quelle macerie che si frantumano sopra ciò che hanno coinvolto”. Queste le macerie dentro le quali si muove Medea, macerie che lei stessa ha generato e continua a generare, macerie infernali che tutto ardono e tutto imprigionano, in primo luogo lei stessa. Dimentica di ogni possibilità di bene, reagisce a un torto subito, schiava di una furia senza luogo e senza tempo che la/ci costringe ad una solitudine dolorosa e demoniaca al contempo.

 

L’ira di Medea condanna il mondo al caos. Un mondo che non risponde né corrisponde più all’individuo. Una frattura incolmabile si produce tra il reale e il desiderio e più questo baratro si amplifica più l’ira divampa. Il mondo, la realtà storica, non è più in corrispondenza armonica con l’individuo, non c’è più un noi in cui riconoscersi, a cui appartenere. Cittadino e società si contrappongono in un rapporto di disarmonica estraneità. La solitudine infinita dei propri dolori, l’ipertrofia orrenda delle proprie passioni diventa unica legge, unica causa delle proprie azioni. Medea sancisce l’atto egotico di sottrarre sostegno eppure in una reciproca, tremenda implicazione, il medesimo sostegno è a lei stessa sottratto.

Questa è sì la storia del divenire di un mostro, un mostro morale, ma è anche la storia di una mostruosità più nascosta e profonda che immischia nella colpa ogni attore sulla scena. Nessuno è scevro dall’atto di questo supremo contemporaneo egoismo, la solitudine costringe gli uomini a una salvezza furiosa, ognuno persegue un bene colpevole, tutti siamo preda del male “omnes mali sumus”. Giasone ha infranto i sacrosanti limiti del mondo alla ricerca del vello, Medea infrange i sacrosanti legami della maternità. Nell’impeto di un desiderio che strumentalizza l’altro in un atto permanentemente oltre-natura si spalanca il mondo contemporaneo del disumano.

Il divenire Medea di Medea “Medea nunc sum” disvela la sua mostruosità, ma disvela soprattutto al mondo il suo nucleo fondativo. Medea ha salvato gli Argonauti, Medea ha reso possibile il loro successo e il loro ritorno, in particolare il ritorno del cantore Orfeo, colui che sulla sua lira fonda il sapere dell’Occidente. Ebbene il cuore rimosso di questo Occidente è Medea, la sua ira cieca, il suo furore solitario. Un cuore nero e rimosso pulsa e giace sotto le fondamenta scricchiolanti di un intero mondo. Un cuore che nasconde un furto, quello del vello, un tradimento, quello dell’amore per Medea, per l’altro da sé.

Il mondo ha smarrito i suoi confini, è diventato, nelle parole di Nancy, un agglomerato, un ammasso. Sulla terra le tracce di ciò che abbiamo perso. In questa folle ricerca di noi, l’altro diventa l’intruso. Nel volto dell’altro viene iscritto il male, la colpa, stigmatizzata, in un orribile gioco di proiezioni, la reazione alla nostra violenza.  Il volto dell’altro smette di raccontare quell’abisso che è la precarietà umana, di raccontare quella pulsione etica al non uccidere, al bene, quella vocazione a riconoscere nel dolore dell’altro un baluardo contro la barbarie e diviene il sito simbolico del male. Volto costruito, artefatto, temuto, attaccato, vilipeso, ingiuriato. Volto sbattuto nella prigione di Guantanamo, volto nascosto nelle facce accigliate in un carcere russo in attesa di rivedere cari smarriti da mesi, anni.

A questa ingiuria disumana, risponde con pari disumanità Medea, infrangendo il supremo vincolo umano, trascinando nella cenere il futuro, il ponte sottile e labile gettato tra due mondi.

La sua furiosa ira deflagra, le fondamenta collassano e ciò che si mostra con mostruosa vividezza è la radice oscura di una colpa tanto universale da non avere più colpevoli. Le macerie lasciano la scena vuota di ogni ricostruzione, il futuro non è che lo spettro mostruoso di questo nostro atroce rimosso.

Francesca Manieri e Pierpaolo Sepe

 

durata spettacolo: 90 minuti senza intervallo

 

 

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