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Fin dal titolo,
l’assenza è l’assoluta protagonista di questa mostra: ma diversamente
dalla sua precedente raccolta, “Al Mare”, in cui l’autore si immergeva
negli abissi della propria in-coscienza, qui si apre al mondo, inteso
però non come la caleidoscopica sede della molteplicità, ma come un
grande, desolante deserto spirituale in cui il nulla dilaga. Quella
descritta da Vanni è una realtà in cui “nel sacro nome della
secolarizzazione abbiamo smarrito la speranza nella resurrezione”: un
mondo disperato, quindi, caratterizzato dall’”autismo digitale”, da
un’identità frammentata in cui non sai “se tu sei frutto di somma o
sottrazione”, da un’aritmetica dei sentimenti in cui “la passione ci
vince e ci miete”, da una scienza medica incapace di sanare la malattia
più profonda, il “dolore muto” dell’animo umano.
Su tutto, domina come
una divinità sanguinaria la Finanza globale, pronta a sacrificare gli
individui in nome del potere. Ed ecco incastonate nel flusso del
linguaggio poetico le aride parole della crisi che ormai da troppo tempo
fanno da grigio sfondo alla nostra esistenza: rigore, bilancio, conti,
manovra, recessione, finanche il neologismo “areaeuropanico”.
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