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Lo spazio scenico ridotto al minimo è il
mezzo per concentrare l'attenzione sulla vera protagonista, la parola,
nella sua doppia accezione: cinica complice della subdola persuasione
totalitarista, ma anche e soprattutto strumento di elevazione morale e
spirituale attraverso la letteratura ed il teatro. L'azione si svolge su
una zattera instabile che ciondola su un mare di riviste patinate,
l'allegoria straniante del marasma di informazione "spazzatura" da cui
siamo circondati e molto spesso stentiamo a riconoscere. Lo spettacolo
diventa cosi' l'occasione per denunciare il naufragio morale della
nostra società, non solo mostrandolo in forma allegorica, ma offrendo
allo spettatore una via d'uscita invocando l'autocoscienza e la
compassione come le "provviste esistenziali" per una concreta
sopravvivenza dell'uomo. Il televisore, che tra i molteplici, è forse
l'oggetto più inflazionato per questo tipo di discorso, non si limita al
ruolo di capro espiatorio, ma occupa la scena diventando l'appiglio dal
quale è possibile incominciare la propria rinascita ed a cui ci si
aggrappa per evitare di affondare. Questa rilettura non si discorda
tuttavia dall'atmosfera grottesca del testo di partenza. Al contrario,
Naufraghi, rimane una commedia dell'assurdo, che, nel dialogo tra teatro
di denuncia, ombre e una messa in scena che interpella video e nuove
tecnologie, si traduce in una risata che lascia, tuttavia, l'amaro in
bocca. |