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Tele dominate da
baluginanti nudità, da scheletri implicati in scene religiose. Le mostre
di Paul Delvaux hanno destato scandalo, come la retrospettiva di Ostenda
del 1962, che consacrerà definitivamente l'artista sul piano
internazionale, vietata ai minori di diciotto anni. Oppure la Biennale
di Venezia del 1954, nella quale il patriarca, futuro papa Giovanni
XXIII, proibì ai preti l'eccesso di una pittura che avrebbe potuto
turbarli.
Affabulatore dell'inconscio, intrigante stratega di atmosfere da sogno,
Delvaux trova fonte d'ispirazione in quelli che lui considera i suoi due
mentori, Giorgio De Chirico, il metafisico "faro" per i surrealisti, e
René Magritte, insieme a Delvaux il più grande pittore belga del XX
secolo: "Cercavo negli altri l'alimento che mi permettesse di
scoprire me stesso. Perciò ho fatto pittura espressionista. Ho fatto
pittura come quella di Ensor. C'era qualcos'altro che volevo trovare: fu
allora che scoprii Giorgio de Chirico, e fu lui, d'un tratto, a mettermi
sulla strada giusta". Si presenta con queste parole Delvaux,
protagonista della stagione del Surrealismo, il movimento d'avanguardia
nato nel 1924 col Manifesto di André Breton, che eleva il sonno a stato
di coscienza e realtà, con Sigmund Freud inconsapevole profeta: "Automatismo
psichico puro con il quale ci si propone di esprimere il funzionamento
reale del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla
ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale." |
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Questa dimensione
artistica viene indagata dalla nuova mostra della Fondazione Magnani
Rocca dal titolo "DELVAUX E IL SURREALISMO" dal 23 marzo al 30 giugno
2013, a cura di Stefano Roffi insieme al Musée d'Ixelles-Bruxelles, dove
l'enigma, perfettamente surreale, sull'adesione o meno dell'artista al
dettato del movimento surrealista (egli la negava, contraddicendo una
apparente evidenza, definendosi un "realista poetico") costituisce il
tema della mostra stessa che, con circa 80 opere scandite tematicamente
(Il paesaggio, L'enigma della ferrovia, Il mistero femminino, Le coppie,
La classicità, Gli scheletri) offre anche il confronto con i lavori di
accertati surrealisti quali lo stesso Magritte, Max Ernst, Man Ray,
oltre al grande De Chirico; con loro Delvaux partecipa a "L'Exposition
Internationale du Surréalisme" nel 1938 a Parigi, in un incontro
artistico fra i più sorprendenti del Novecento, dopo essere rimasto
molto colpito dalle opere che aveva visto alla mostra "Minotaure",
tenutasi al Palais des Beaux-Arts di Bruxelles nel 1934.
Nella "Villa dei Capolavori", sede a Mamiano di Traversetolo (Parma)
della Fondazione Magnani Rocca, presieduta da Giancarlo Forestieri,
accanto alle celebri opere di Dürer, Rubens, Van Dyck, Goya, Canova,
Monet, Renoir, Morandi e molti altri, i lavori di Delvaux trovano
dialoghi di raffinata suggestione.
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La mostra, che si avvale del sostegno di Fondazione Cariparma e
Cariparma Crédit Agricole, è corredata da un ricco catalogo, contenente saggi di
Arturo Carlo Quintavalle, Stefano Roffi, Laura Neve, Mauro Carrera, Elisa
Barili, Pierre Ghêne.
A partire dal 1934, dopo un periodo improntato a interessanti
riprese impressioniste ed espressioniste in paesaggi e figure umane, l'artista
conferisce alla sua arte una fisionomia definitiva, costruendo una dimensione
onirica perfettamente plasmata, esito della fusione dello spazio metafisico di
De Chirico coi brani di spaesamento propri di Magritte. La risultante
emblematica che si impone nelle sue tele è un'immagine femminile dal corpo
infuso di mistero, diafano e spettrale nella sua nudità quasi fosforescente,
talora coinvolto in sorprendenti metamorfosi e collocato in luoghi irreali,
sospesi in una dimensione di scardinamento della logica temporale, dove
architetture dell'antichità classica convivono con reperti della modernità, come
treni e stazioni. Donne che diventano creature arcane, vestali di uno
sconfinamento tra il sogno e la mitologia, icone immote dai grandi occhi
sgranati sul vuoto, che ricordano i nudi dal cupo sguardo introflesso di
Modigliani; una sorta di sensualità "congelata" le rende simili ad
automi-femmina creati e programmati da un misterioso demiurgo per destini non
rivelati. Tra gli altri temi cari all'artista quello dello scheletro è presente
nelle sue opere dall'inizio degli anni Trenta, acquisendo lo "status" di
personaggio e divenendo il protagonista - assolutamente partecipe del mondo dei
vivi - di scene religiose quali crocifissioni o sepolture, di danze e duelli.
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"Il vuoto è lo specchio che mi guarda", afferma il cavaliere
Antonius Block, sfidando a scacchi il signor Morte in una partita dagli evidenti
contenuti simbolici; è una celebre scena de Il settimo sigillo, il film
di Ingmar Bergman dall'atmosfera affine alle opere di Delvaux, dove
l'annullamento identitario rappresenta la cifra di una pittura all'insegna della
sospensione, dell'enigma poetico.
Paul Delvaux (Antheit les Huy, 1897 - Furnes, 1994), dopo
studi di architettura e pittura a Bruxelles, dagli anni del raggiungimento della
sua maturità d'artista pratica una specie di paradossale surrealismo classico.
Non ci sono, nelle sue opere, quelle deformazioni "mostruose" prodotte dagli
incubi propri di tanta pittura surrealista, non vi è traccia di quel proliferare
di anatomie stravolte, derivate alla lontana dall'eredità di un Medio Evo
fantastico, che popolano i quadri di Bosch, l'antenato fiammingo. Il
surrealismo, per Delvaux, si manifesta piuttosto col tono di una fiaba, con un
senso di placida normalità che riguarda corpi, spazi, prospettiva. Si avverte
però qualche incongruità, qualche falla nel tessuto logico del visibile; un
vento lieve di follia si alza ad agitare questo mondo e tutto diventa strano e
straniante, irraggiungibilmente estraneo. Quella che a prima vista poteva
sembrare una realtà riconoscibile si trasforma in un pacato enigma, senza
punizioni terribili per chi non lo risolverà; resta l'impossibilità di
comprendere il senso autentico delle messe in scena dell'artista, ma anche di
capirne il nonsenso, distinguere il punto in cui la narrazione si fa prima
ambigua e poi incontrollabile. Forse, il senso - o il nonsenso - del mondo di
Delvaux si rivela proprio nell'incrinatura stridente che si apre tra una lettura
"realistica" delle sue figure e una lettura invece abbandonata alla meravigliosa
discrezione delle sue invenzioni. Come se lo spettatore si trovasse al cospetto
di una serie di oscure allegorie sprovvisto del codice per decifrarle, come se
una scena di normalità si trasformasse nell'allegoria di un significato perduto.
Il quadro si pone così come intercapedine fra noi e un mondo sconosciuto; la sua
funzione non sembra essere quella di stabilire una comunicazione con quel mondo,
piuttosto quella di manifestare un'impossibilità di comunicazione. La visione di
ogni quadro di Delvaux lascia il senso di una mancanza, quasi una piccola
nostalgia, senza ansia, una specie di distratta serenità; come se questa visione
giungesse a confermare una conoscenza rimossa. Le donne imperversano nei dipinti
di Delvaux, quasi sempre portatrici caste (?) di nudità; narrano mute le storie
di un mondo al femminile, l'inazione tornisce le loro forme di lucente
levigatezza, che mostrano con noncurante consapevolezza. Un codice di posture
manierate rende astratta la loro presenza, sospesa in un rigoroso linguaggio di
sottrazione, in una condotta di verità simbolica, criptogrammi di una vita
vagamente metafisica, certamente proiezioni dell'impegnativa figura materna. Il
luogo è l'altrove, il tempo è il futuro anteriore. Il riferimento certo è De
Chirico; tutto il Surrealismo, del resto, gli deve tanto: con i suoi quadri dei
primi anni Dieci, egli non inventa soltanto un modo di dipingere, inventa un
modo di immaginare che prima non esisteva. I più famosi pittori surrealisti, da
Tanguy a Magritte a Ernst allo stesso Delvaux, hanno ammesso che i quadri di De
Chirico sono stati per loro una vera rivelazione. Delvaux deve a De Chirico la
"classicità" del suo personale surrealismo; la presenza costante di edifici
classici e rinascimentali, di archi e colonne testimonia questo debito. Ancor
più importante è la derivazione da De Chirico della sua poetica dell'incongruo,
dello straniamento, secondo la quale nel dipinto tutto appare normalizzato, ma
l'esame attento delle relazioni tra i personaggi e le cose smaschera una realtà
diversa, la traccia di un enigma che resterà tale, per dare corpo a un teorema
di insensatezza, a un sogno sostitutivo. Un paradosso, ma forse per Delvaux
l'unica via di fuga da verità inconfessabili, alle quali preferì il mistero.
DELVAUX E IL SURREALISMO
Un enigma tra De Chirico, Magritte, Ernst, Man Ray
Mostra a cura di Stefano Roffi insieme al Musée d'Ixelles-Bruxelles, col
patrocinio dell'Ambasciata Belga in Italia.
Catalogo a cura di Stefano Roffi con saggi di Arturo Carlo Quintavalle, Stefano
Roffi, Laura Neve, Mauro Carrera, Elisa Barili, Pierre Ghêne (Silvana
Editoriale).
Fondazione Magnani Rocca, via Fondazione Magnani Rocca 4, Mamiano di
Traversetolo (Parma).
Dal 23 marzo al 30 giugno 2013. Aperto anche tutti i festivi.
Orario: dal martedì al venerdì continuato 10-18 (la biglietteria chiude alle 17)
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sabato, domenica e festivi continuato 10-19 (la biglietteria chiude alle 18).
Lunedì chiuso, aperto il lunedì di Pasqua.
Ingresso: euro 9,00 valido anche per le raccolte permanenti - euro 5,00 per le
scuole.
Informazioni e prenotazioni gruppi: tel. 0521 848327 / 848148 Fax 0521 848337
info@magnanirocca.it
www.magnanirocca.it
Il martedì ore 15.30 viene organizzata una visita alla mostra con guida
specializzata; non occorre prenotare, basta presentarsi alla biglietteria; costo
euro 12,00 (ingresso e guida). Ristorante nella corte del museo tel. 0521 848135
Ufficio Stampa: Studio ESSECI - Sergio Campagnolo tel. 049 663499 -
www.studioesseci.net
info@studioesseci.net
La mostra è realizzata grazie a: FONDAZIONE CARIPARMA, CARIPARMA CRÉDIT
AGRICOLE.
Sponsor tecnici: Angeli Cornici, Aon Artscope Fine Art Insurance Brokers,
Gazzetta di Parma, Kreativehouse,
Hotel Palace Maria Luigia, SINA Fine Italian Hotels, TEP,
Società per la Mobilità e il Trasporto Pubblico.
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