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Un vero gioco delle
parti, dove i personaggi sono lasciati in bilico tra reale natura
personale e ruolo sociale, limes sottile che tiene in scacco ciascuno di
noi. Non a caso la scena rappresenta una grande gabbia: reale luogo di
detenzione del naziskin ma anche metafora della prigione in cui sono
rinchiusi entrambi, quella dei loro (e dei nostri) demoni...
Il complesso rapporto
tra Mike, un giovane skin head accusato dell'omicidio di un pakistano e
Dan, l'avvocato ebreo chiamato a difenderlo, è il fulcro di "Cherry Docs",
dell'americano David Grow. Un testa a testa, un gioco a due voci che si
intrecciano a suon di battute lapidarie, chiare e stentoree. Sette
giorni, sette scene, sette momenti in cui i protagonisti saranno
costretti a confrontarsi con le proprie paure, le contraddizioni e le
convinzioni più profonde. Da una parte la fede in un ideale di purezza
da difendere a tutti i costi (le "cherry docs" del titolo sono gli
anfibi "da battaglia" di Mike), dall'altra quella nei principi della
religione di un popolo perseguitato proprio in nome di quella purezza;
da una parte l'estrema intolleranza, dall'altra i supposti convincimenti
liberali. Contrapposizioni nette, almeno in apparenza. Fino a che le
certezze di entrambi non perdono forza e consistenza, minate dal gioco
dialettico di cui i due sono allo stesso tempo protagonisti e vittime. |