Facciamo che c’era una volta…un
piccolo villaggio della ex Jugoslavia e che da lì inizia questo nostro viaggio,
si passa per l’Africa, da cui partivano durante la guerra le navi della croce
rossa, e poi si arriva a Napoli nei favolosi anni ’60, proseguendo sempre più a
sud, dentro le leggi e i tabù della Basilicata, per scappare in una Roma
infuocata dalle contestazioni degli anni ‘70, tra nonni slavi e ladri, mariti
violenti, amanti, riunioni politiche, rivolte femministe e il sogno di una
stanza tutta per sé e di un lavoro, di una scuola nuova, quella scuola
pensata come casa, luogo da proteggere perché deputato alla crescita e alla
trasformazione della società, e sbarcare infine in un piccolo paesino della
provincia di Roma davanti al mare…
Carmen
è così, è una profonda e vertiginosa immersione dentro la storia del nostro
paese ma è anche un viaggio alla ricerca di un corpo e del suo posto nel mondo,
uno scontro con altri corpi, una lotta contro la violenza e la sopraffazione,
alla ricerca della libertà.
Carmen
è il viaggio di questa donna qualunque che cerca la sua
libertà.
Una libertà cercata e
ritrovata solo nel momento in cui la parola che non si può dire – stupro – viene
finalmente nominata pubblicamente, viene detta. Stupro, inteso non solo come
violenza fisica, ma anche, e soprattutto, morale e culturale, vero e proprio
programma politico, scheletro del capitalismo, rappresentazione cruda
e diretta dell’esercizio del potere. Atto sadico contro chi afferma la
propria libertà di scelta, sfregio al piacere condiviso dell'amore, declassato a
pura evacuazione/auto-soddisfazione, riduzione della donna a merce, preda,
oggetto, essere che va punito perché fragile, inferiore, altro, diverso. Atto di
vendetta politica contro chi si ribella al potere che la vuole sempre sottomessa
o complice, e poi violenza, quotidiana, familiare, perché la donna accetti la
sua subordinazione, storico e naturale destino stabilito. Stupro.
Metafora perfetta della nostra società.
Ma Carmen è anche il
viaggio di un uomo che cerca il suo corpo e la sua libertà. È la
sua presa di coscienza, è la domanda da ritrovare per ritrovarsi, l’urgenza da
lanciare, come una rivolta, alla piazza, al pubblico: cosa significa, in
questa società, essere un uomo vero?. Significa forse la rinuncia a qualcosa
di molto, troppo importante, la rinuncia alla propria identità, alla propria
natura, che magari è diversa dall’immaginario che questa società ci propone, ci
impone.
La verbalizzazione che si fa
corpo e scrittura, un grido che è un canto, un atto di rappresentazione,
restituisce ai due universi – maschile e femminile – la consapevolezza che lo
stupro ci riguarda tutti, perchè è già dentro la città, tutti abbiamo a
che fare con lui sin dalla nostra nascita, per questo Carmen è un
viaggio che si fa da soli ma anche insieme, un viaggio che va indietro e che va
avanti, un viaggio umano che non vede l’ora di rinominare il non detto,
per portare parola, per scoprire che cos’è corpo e che cos’è bellezza, dentro e
oltre i generi.
Abbiamo lavorato a partire
dalle numerose interviste fatte a Carmen M., le abbiamo ascoltate guardando
fotografie di genitori, nonni, bisnonni, abbiamo utilizzato questi materiali
come una mappa. La biografia è andata mutando, come materiale vivo nelle mani di
uno scultore, lentamente si è tolta – perchè “la scultura si fa a furia di
torre” scriveva Michelangelo – e ha lasciato spazio alla sua capacità di
deformarsi e trasformarsi, di tradirsi e reinventarsi attraverso l’alchimia dei
segni teatrali. Come in un ritratto, abbiamo cercato l’intimità fra chi guarda e
chi è guardato, per diventare non solo una testimonianza ma anche una proposta.
Così è nata la parola di questo testo, una parola che ha dialogato sin
dall’inizio con quella drammaturgia musicale di canti e suoni che ha attinto
all’interno delle diverse epoche storiche vissute da Carmen, epoche spesso
scandite proprio dalla produzione musicale. Le canzoni, sono parti, snodi del
racconto in relazione con tutti gli altri elementi del testo e della scena.
La ricerca di un dialogo tra
il teatro e la musica nasce dal desiderio di continuare a creare sinergie fra i
linguaggi e gli artisti, segno forte e riconoscibile in tutte le nostre
produzioni in cui, più volte, abbiamo sperimentato collaborazioni proprio
guardando al teatro come spazio alchemico, luogo privilegiato dell’incontro.
Dentro Carmen si
continua questa ricerca attraverso il recupero di tradizioni musicali popolari
che dialogano con il lavoro musicale contemporaneo, che nasce anche dal nostro
lavoro di attori e autori.
Dentro Carmen che
non vede l’ora c’è la voce e il corpo di una donna, che usa la parola e il
racconto per esprimersi e c’è la voce e il corpo di un uomo che è tanti uomini,
tante storie e che risponde parlando, cantando e suonando, a quel facciamo
che, quel gioco del teatro, che la donna mette in moto, per ricucire,
insieme al pubblico, ciò che la violenza ha fatto a pezzi.
La voce di Carmen dialoga con
quella voce maschile che, passando dalla musica al testo come in un gioco delle
parti, fa lo stesso viaggio di Carmen esplorando il mondo maschile incontrato da
lei, durante i suoi 60 anni.
Carmen
con la sua forza e ironia attraversa la storia del nostro paese, e grazie al suo
percorso di autonomia, diventa una figura mitologica, una Aracne contemporanea
che tesse il racconto della violenza, dello stupro e definisce cos’è sorellanza,
cos’è società, attingendo all’archetipo del teatro inteso come luogo aperto,
piazza, spazio catartico dell’incontro e della trasformazione delle coscienze.
Carmen diventa eroina, emblema dei conflitti, ma anche della capacità di
trasformazione e lo fa a partire da un percorso di genere legato alla storia di
liberazione dei corpi femminili, senza dimenticarsi di dialogare con il
maschile, con quel percorso di liberazione che appartiene anche gli uomini
che non vedono l’ora di inventarsi un altro mondo.
Queste due voci, dialogano con
il pubblico e filano, come fossero, entrambi, Aracne. Sono Arance. Aracne che
fila e srotola la storia di tutti noi per creare un canto comune – se è ancora
possibile trovarne uno – tornando indietro, tornando alle origini, all’infanzia
del mondo da cui tutti veniamo.
Carmen che non vede l’ora
parla e canta attraverso i ricordi e le voci delle persone incontrate,
restituendo, al suo corpo e alla sua personalità, la storia, le lotte, le
conquiste, la forza e la sua indissolubile allegria.
“Ognuno è un cantastorie.
Tante facce nella memoria. Tanto di tutto, tanto di niente…le parole di tanta
gente. Tanto buio, tanto colore. Tanta noia, tanto amore. Tante sciocchezze,
tante passioni. Tanto silenzio, tante canzoni…”
Teatro Argot
Via Natale del Grande, 27, 00153 Roma
06 589
8111
Orari spettacolo: tutte le
sere alle 21 e domenica alle 17.30
Prezzi 12 intero, ridotto
normale 10 euro.
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