Molti sono gli interrogativi e le
riflessioni che suscita la mostra:
“L'operazione che Pierluigi Berto
propone a se stesso e ai suoi allievi attinge a un inesauribile
repertorio di significati e di valori simbolici, alle radici profonde
della conoscenza di sé e della rappresentazione artistica: come leggiamo
e imitiamo noi stessi? Qual parte di noi eleggiamo a nostro canone?
Quale espressione ci identifica? Quale sguardo volgiamo al mondo e con
quale sguardo ci percepiamo e autorappresentiamo? Il ritratto è,
essenzialmente, impostura e verità profonda del nostro essere.” nota
Costanza Barbieri.
E spiega Pier Luigi Berto: “Il
tema dell’autoritratto è caro a tanti artisti, da Dürer a Hockney, da
Morandi a Kentridge, da Balthus a Freud, solo per citarne alcuni. Molti,
per altro, hanno affrontato tale cimento più volte, nelle diverse età
della vita. Sì, perché di cimento si tratta: fare pace con la propria
immagine non è semplice.”
Aggiunge Marco Nocca: “Guardare
se stessi come se si stesse guardando un altro, affidando alla
neutralità dello strumento disegnativo l’esplorazione del pianeta Io.”
Mentre Carlo Bozzo osserva: “È curioso
che, ad un certo momento, sono i fruitori a divenire specchio: nel
gradire un autoritratto, nell'osservare la corrispondenza dei tratti con
l'autore, si diventa supplenti dello strumento specchio, si fruisce
dell'opera attraverso uno sorta di sguardo riflettente.”
E infine Daniela Polese: “ Cerca l’artista, guardando
il proprio volto, quel momento in cui si riconobbe per la prima volta?
Con dolore o con gioia ha la sapienza di andare oltre la figura
percepibile dalla rètina, per trovare l’espressione della propria
immagine interiore o, a volte, della propria perdita di essa. “ |