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Le Tre Grazie, con la
Venere di Milo e il busto di Nefertiti, è il gruppo scultoreo forse più
famoso al mondo. E poco importa se non tutti sanno che è opera di
Antonio Canova e che le tre giovani bellezze da lui immortalate sono
figlie di Zeus e rispondono al nome di Aglaia, Eufrosine e Talia, sodali
di Venere, e che simboleggiano, rispettivamente, lo splendore, la gioia
e la prosperità.
Canova le ha interpretate in due esemplari, molto simili. Il primo, ora
all’Ermitage di San Pietroburgo, glielo commissionò Josephine de
Beauharnais, all’epoca moglie di Napoleone; il secondo al Duca di
Bedford che, visto il gesso che lo scultore teneva nel suo atelier
romano, lo supplicò di creargli un ulteriore esemplare in marmo. Canova
riprese il modello, apportando piccoli cambiamenti e, quasi per
allontanare il momento di distacco dall’opera, l’accompagnò
personalmente sino alla nuova dimora inglese. Oggi quel magnifico marmo
è equamente suddiviso, sette anni ciascuno, dalla National Gallery of
Scotland di Edimburgo e dal Victoria & Albert Museum di Londra.
Dall’inizio di quelle vicende sono passati esattamente due secoli: il
modello originale in gesso delle Grazie è infatti datato 1813.
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In questi due secoli
la fama delle tre bellezze canoviane è diventata universale. La
sinuosità delle forme femminili, la delicatezza e la morbidezza nonché
la ricercata levigatezza del marmo determinano un gioco di luci ed ombre
che affascinano chiunque le ammiri.
Nella sua Casa-Museo, nella natia Possagno, Canova lasciò il gesso
originale della prima versione delle Grazie, quel gesso su cui aveva
lavorato per creare il suo capolavoro. La levigatezza del marmo finale
era qui ricreata da una patina in cera d’api. A Possagno giunse anche il
gesso tratto dalle Grazie inglesi, quale documento da conservare a
perenne memoria dell’arte del grande scultore.
Grazia e violenza non vanno d’accordo. Lo conferma, se ce ne fosse
bisogno, il destino dei due capolavori del Canova.
I gessi, con altre opere conservate nella Gipsoteca vennero investiti
dalla nuvola di calcinacci causata dai cannoneggiamenti austroungarici
durante la Prima Grande Guerra, quando Possagno, ai piedi del Grappa,
era zona di battaglia. Particolarmente gravi i danni subiti dal gruppo
“inglese” che vide le Grazie ritrovarsi con volti e busti
drammaticamente lesionati. All’indomani del conflitto, Stefano e Siro
Serafin, custodi e abilissimi restauratori, sanarono molti dei danni.
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Non agirono invece sulle Grazie di Bedfod che, deturpate
trovarono sede nella sala del consiglio comunale di Possagno, a stridente
ricordo di un guerra terribile per il paese. Il secondo gruppo di Grazie,
restaurato è esposto nell’Ala Scarpina della Gipsoteca.
A cent’anni dallo scoppio della Grande Guerra, mentre l’Europa si appresta a
ricordare quel centenario, anche le Grazie “inglesi” risorgono, ritrovando tutte
le loro parti. Quello che i Serafin non si sentirono di fare lo consente ora la
tecnologia.
Grazie alla collaborazione delle National Galleries of Scotland, di Edinburgo,
proprietari del prezioso marmo, è stato possibile fotografare e scansionare
l’opera e grazie all’elettronica si è riusciti a ricomporre le parti mancanti al
gesso di Possagno.
“Se Canova avesse lasciato sul marmo una sola impronta digitale, la ritroveremmo
sul gesso restaurato”. Ad affermarlo è Mario Guderzo Direttore del Museo e
Gipsoteca Antonio Canova di Possagno che, con Ugo Soragni, Direttore Regione per
i Beni Culturali, Giuseppe Pavanello, dell’Università di Trieste e Direttore del
Centro Studi Canoviani di Possagno, Marica Mercalli, Soprintendente per i Beni
Storici e Artistici ed Etnoantropologici per le Province di Venezia, Padova,
Belluno e Treviso e Aidan Weston Lewis, dello Scottish National Gallery di
Edinburgo, Guancarlo Cunial della Gipsoteca di Possagno, componenti dell
Comitato Scientifico della mostra. |
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A dire dell’incredibile grado di perfezione raggiunto da questa
tecnica, che aveva già dato prova di sé per un altro gesso di Canova, la
Danzatrice, anch’essa deturpata dalla guerra, che ha ritrovato braccia e
cembali.
In mostra, dal 7 dicembre al 4 maggio, si potranno ammirare entrambi gruppi
delle Grazie, quello “russo”, e quello “inglese” così recuperato. Con i gessi, i
due bozzetti, l’uno proveniente dal Museo di Lione, il secondo oggi di proprietà
del Museo di Bassano. Poi tempere, disegni, incisioni, sempre intono al tema
delle Grazie.
Mostra nella mostra è l’esposizione delle crude immagini della Gipstoteca e dei
Gessi di Canova all’indomani dei bombardamenti: immagini concesse da due archivi
pubblici, drammatiche nella volontà di costituire una precisa documentazione di
un orrore.
“Questa mostra, afferma il Presidente della Fondazione Canova, Giancarlo Galan,
sarà un’ulteriore conferma della centralità del patrimonio canoviano conservato
gelosamente a Possagno e ne sottolineerà l’impegno espresso in termini di tutela
e valorizzazione delle opere. Rimane fondamentale per la Storia dell’arte quanto
Canova ha voluto lasciare alla sua terra facendola, così, diventare il centro
mondiale dell’arte del grande Scultore.
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