“Così
formulato, il titolo dello spettacolo suggerisce d’acchito una perentoria
minaccia -
scrive
Santanelli
- lascia immaginare un sequestratore che, con la pistola alla tempia della sua
vittima, le impone di cantare pena la vita. E invece le cose non stanno
esattamente così. Ben presto Felicella si ambienta nella nuova realtà americana,
grazie anche alla esaltante certezza di aver trovato in America la sua
‘personale America’.”
Uno
spettacolo che unisce testo, musica, canzoni e bravura interpretativa per una
riuscita parodia della malavita italo americana.
Le canzoni
del repertorio più prestigioso della tradizione canora napoletana sono state
riarrangiate da Paolo Coletta. Le scene sono di Flaviano Barbarisi, i costumi di
Alessandra Gaudioso, da segnalare la rigorosa e brillante regia di Fabio
Cocifoglia.
Così
formulato, il titolo dello spettacolo suggerisce d’acchito una perentoria
minaccia, e lascia immaginare un sequestratore che, la pistola alla tempia della
sua vittima, le impone di cantare pena la vita. E invece le cose non stanno
esattamente così.
Rinchiuso in una casa bunker, mister Pitt, ricco
e ipocondrico ex malavitoso di seconda generazione italoamericana, concepisce
l’improbabile progetto di alleviare le proprie pene assoldando, attraverso il
miraggio di un lauto compenso, un’infermiera napoletana che possa abbinare alle
intramuscolari quotidiane il canto terapeutico delle più belle canzoni, ormai
alloggiate nel suo codice genetico.
Prima timidamente, poi sempre più padrona della
situazione, entra nella vicenda Felicella, donna dal canto farmacologico e dalle
punture indolori, che finora ha garantito la buona salute di tutto il condominio
partenopeo, di cui è la custode.
Ben presto Felicella si ambienta nella nuova
realtà, grazie anche alla esaltante certezza di aver trovato in America la sua
‘personale America’.
Ma, come si è soliti dire, ha fatto i conti senza
l’oste. E se è vero che il danaro le entra a fiumi nelle tasche, è altrettanto
vero che lo paga con improvvisi “appretti di cuore”, nella forma dei pressoché
continui scontri a fuoco, ingaggiati bell’e buono da mister Pitt e dal suo
maggiordomo Gedeon, costretti a difendersi da ignoti nemici, incomodo retaggio
della loro precedente attività criminosa.
A tanto si aggiunge la galoppante nostalgia per
la terra avita che Felicella si è lasciata alle spalle; sentimento penetrante
che scava pozzi artesiani nell’anima della miracolosa infermiera. Finché una
lettera della madre non ha la meglio su ogni remora, persuadendola a ritornare a
casa, con il mesto permesso del suo facoltoso datore di lavoro; il quale, dal
canto suo, si consegna all’iniziale e finale destino di ammalato neanche tanto
immaginario.
Ne sortisce uno spettacolo che alterna momenti di
struggente malinconia a schegge di comicità viranti verso il griottesco,
un’altalena di emozioni che, con la modestia d’obbligo ogni qualvolta ci si
rapporta ai massimi sistemi, si fa carico di esemplare alti e bassi del nostro
quotidiano’ bene o male’ di vivere.
(Manlio Santanelli)
Rinchiuso in una casa bunker, mister Pitt, ricco
e ipocondrico ex malavitoso di seconda generazione italoamericana, concepisce
l’improbabile progetto di alleviare le proprie pene assoldando, attraverso il
miraggio di un lauto compenso, un’infermiera napoletana che possa abbinare alle
intramuscolari quotidiane il canto terapeutico delle più belle canzoni, ormai
alloggiate nel suo codice genetico.
Prima timidamente, poi sempre più padrona della
situazione, entra nella vicenda Felicella, donna dal canto farmacologico e dalle
punture indolori, che finora ha garantito la buona salute di tutto il condominio
partenopeo, di cui è la custode.
Ben presto Felicella si ambienta nella nuova
realtà, grazie anche alla esaltante certezza di aver trovato in America la sua
‘personale America’.
Ma, come si è soliti dire, ha fatto i conti senza
l’oste. E se è vero che il danaro le entra a fiumi nelle tasche, è altrettanto
vero che lo paga con improvvisi “appretti di cuore”, nella forma dei pressoché
continui scontri a fuoco, ingaggiati bell’e buono da mister Pitt e dal suo
maggiordomo Gedeon, costretti a difendersi da ignoti nemici, incomodo retaggio
della loro precedente attività criminosa.
A tanto si aggiunge la galoppante nostalgia per
la terra avita che Felicella si è lasciata alle spalle; sentimento penetrante
che scava pozzi artesiani nell’anima della miracolosa infermiera. Finché una
lettera della madre non ha la meglio su ogni remora, persuadendola a ritornare a
casa, con il mesto permesso del suo facoltoso datore di lavoro; il quale, dal
canto suo, si consegna all’iniziale e finale destino di ammalato neanche tanto
immaginario.
Ne sortisce uno spettacolo che alterna momenti di
struggente malinconia a schegge di comicità viranti verso il griottesco,
un’altalena di emozioni che, con la modestia d’obbligo ogni qualvolta ci si
rapporta ai massimi sistemi, si fa carico di esemplare alti e bassi del nostro
quotidiano’ bene o male’ di vivere.
(Manlio Santanelli)
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