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SPETTACOLO: CANTA O SPARO - Napoli

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Napoli, dall’11 gennaio in scena “Canta o sparo” di Manlio Santanelli

Una produzione del Positano Teatro Festival 

Al Teatro Piccolo Bellini di Napoli, sarà in scena, da venerdì 11 gennaio 2013, alle ore 21:30 (con repliche fino al 20 gennaio 2013) lo spettacolo “Canta o sparo” di Manlio Santanelli, per la regia di Fabio Cocifoglia, con Antonella Morea, Roberto Azzurro e Yacoubou Ibrahim

Dopo il fortunatissimo debutto nel corso della ottava edizione 2011 del “Positano Teatro Festival - Premio Annibale Ruccello”, “Canta o sparo” inizia così la sua vita sulle tavole dei palcoscenici teatrali italiani.

 

 

Una occasione rara di produzione e distribuzione che il Positano Teatro Festival, diretto da Gerardo D’Andrea, in collaborazione, per l’occasione, con Le Pecore Nere, affronta con grande impegno in un momento di grave crisi per il teatro.

Il testo di Manlio Santanelli, uno dei più prolifici e stimati autori italiani, coinvolge gli spettatori in una divertente ed ironica drammaturgia. E’ la storia di una infermiera-cantante  Felicella (Antonella Morea) che giunge da Napoli a servire l’ex boss malavitoso Mr. Pitt (Roberto Azzurro), affetto da depressioni e manie suicide. In scena un convincente  Azzurro  dà  vigore al personaggio dell’ex malavitoso, ricco e ipocondriaco, costretto su una sedia a rotelle si rinchiude, o si nasconde,  nella casa bunker.

Cerca di alleviare le sue pene attraverso le speciali cure di una infermiera napoletana, Felicella, che deve saper abbinare, alle siringhe intramuscolari quotidiane il canto terapeutico delle più belle melodie e canzoni napoletane. E qui che la messa in scena si snoda, acquista ritmo e divertimento nell’intreccio a raffica di battute e dialoghi, mostrando una collaudata sintonia artistica tra mister Pitt, Felicella e il maggiordomo Gedeon, interpretato Yacoubou Ibrahim. La Morea, con efficacia vis comica e grandi doti di virtuosismo canoro interpreta i più famosi brani, prima intimidita dalle prestazioni professionali richieste, e poi ben consapevole del suo speciale canto terapeutico per Mr. Pitt, e sempre più a suo agio nella privilegiata condizione di chi riceve laute ricompense per ogni sua esibizione canora.

 

“Così formulato, il titolo dello spettacolo suggerisce d’acchito una perentoria minaccia - scrive Santanelli - lascia immaginare un sequestratore che, con la pistola alla tempia della sua vittima,  le impone di cantare pena la vita. E invece le cose non stanno esattamente così. Ben presto Felicella si ambienta nella nuova realtà americana, grazie anche alla esaltante certezza di aver trovato in America la sua ‘personale America’.”

Uno spettacolo che unisce testo, musica, canzoni e bravura  interpretativa  per una  riuscita parodia della malavita italo americana. Le canzoni del repertorio più prestigioso della tradizione canora napoletana sono state riarrangiate da Paolo Coletta. Le scene sono di Flaviano Barbarisi, i costumi di Alessandra Gaudioso,  da segnalare la rigorosa e brillante regia di Fabio Cocifoglia.

Così formulato, il titolo dello spettacolo suggerisce d’acchito una perentoria minaccia, e lascia immaginare un sequestratore che, la pistola alla tempia della sua vittima, le impone di cantare pena la vita. E invece le cose non stanno esattamente così.
Rinchiuso in una casa bunker, mister Pitt, ricco e ipocondrico ex malavitoso di seconda generazione italoamericana, concepisce l’improbabile progetto di alleviare le proprie pene assoldando, attraverso il miraggio di un lauto compenso, un’infermiera napoletana che possa abbinare alle intramuscolari quotidiane il canto terapeutico delle più belle canzoni, ormai alloggiate nel suo codice genetico.
Prima timidamente, poi sempre più padrona della situazione, entra nella vicenda Felicella, donna dal canto farmacologico e dalle punture indolori, che finora ha garantito la buona salute di tutto il condominio partenopeo, di cui è la custode.
Ben presto Felicella si ambienta nella nuova realtà, grazie anche alla esaltante certezza di aver trovato in America la sua ‘personale America’.
Ma, come si è soliti dire, ha fatto i conti senza l’oste. E se è vero che il danaro le entra a fiumi nelle tasche, è altrettanto vero che lo paga con improvvisi “appretti di cuore”, nella forma dei pressoché continui scontri a fuoco, ingaggiati bell’e buono da mister Pitt e dal suo maggiordomo Gedeon, costretti a difendersi da ignoti nemici, incomodo retaggio della loro precedente attività criminosa.
A tanto si aggiunge la galoppante nostalgia per la terra avita che Felicella si è lasciata alle spalle; sentimento penetrante che scava pozzi artesiani nell’anima della miracolosa infermiera. Finché una lettera della madre non ha la meglio su ogni remora, persuadendola a ritornare a casa, con il mesto permesso del suo facoltoso datore di lavoro; il quale, dal canto suo, si consegna all’iniziale e finale destino di ammalato neanche tanto immaginario.
Ne sortisce uno spettacolo che alterna momenti di struggente malinconia a schegge di comicità viranti verso il griottesco, un’altalena di emozioni che, con la modestia d’obbligo ogni qualvolta ci si rapporta ai massimi sistemi, si fa carico di esemplare alti e bassi del nostro quotidiano’ bene o male’ di vivere.
(Manlio Santanelli)


Rinchiuso in una casa bunker, mister Pitt, ricco e ipocondrico ex malavitoso di seconda generazione italoamericana, concepisce l’improbabile progetto di alleviare le proprie pene assoldando, attraverso il miraggio di un lauto compenso, un’infermiera napoletana che possa abbinare alle intramuscolari quotidiane il canto terapeutico delle più belle canzoni, ormai alloggiate nel suo codice genetico.
Prima timidamente, poi sempre più padrona della situazione, entra nella vicenda Felicella, donna dal canto farmacologico e dalle punture indolori, che finora ha garantito la buona salute di tutto il condominio partenopeo, di cui è la custode.
Ben presto Felicella si ambienta nella nuova realtà, grazie anche alla esaltante certezza di aver trovato in America la sua ‘personale America’.
Ma, come si è soliti dire, ha fatto i conti senza l’oste. E se è vero che il danaro le entra a fiumi nelle tasche, è altrettanto vero che lo paga con improvvisi “appretti di cuore”, nella forma dei pressoché continui scontri a fuoco, ingaggiati bell’e buono da mister Pitt e dal suo maggiordomo Gedeon, costretti a difendersi da ignoti nemici, incomodo retaggio della loro precedente attività criminosa.
A tanto si aggiunge la galoppante nostalgia per la terra avita che Felicella si è lasciata alle spalle; sentimento penetrante che scava pozzi artesiani nell’anima della miracolosa infermiera. Finché una lettera della madre non ha la meglio su ogni remora, persuadendola a ritornare a casa, con il mesto permesso del suo facoltoso datore di lavoro; il quale, dal canto suo, si consegna all’iniziale e finale destino di ammalato neanche tanto immaginario.
Ne sortisce uno spettacolo che alterna momenti di struggente malinconia a schegge di comicità viranti verso il griottesco, un’altalena di emozioni che, con la modestia d’obbligo ogni qualvolta ci si rapporta ai massimi sistemi, si fa carico di esemplare alti e bassi del nostro quotidiano’ bene o male’ di vivere.
(Manlio Santanelli)

 

 

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