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TEATRO: ACINO DI FUOCO - Napoli

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Sacro e Profano

presenta

 al Théâtre De Poche

(via Salvatore Tommasi 15

traversa via Salvator Rosa|Napoli)

 

da giovedì 25 a domenica 28 aprile 2013

(da giovedì a sabato ore 21|

domenica ore 18)

 

  ACINO DI FUOCO

  di Mario Pirera

regia Mario Pirera

 

Con Gabriella Cerino| Mario Pirera

 

Monica Palomby|Paolo Gentile

Laura Vigilante|Manila Cipriano|Fabio Reale

e con la partecipazione di Giuseppe Gavazzi

 

e con gli allievi dell’Accademia Vesuviana di Teatro diretta da Gianni Sallustro

Salvatore Stellaro|Gennaro Lazzari|Michele Ciniglio

Alessandro Todisco|Anna Ammaturo|Carmen Nappo

 

Liberamente ispirato alla Rivoluzione napoletana del 1799

alla figura di Eleonora Pimentel de Fonseca  e al popolo napoletano

 

 

Al Théâtre De Poche, da giovedì 25 a domenica 28 aprile 2013, da giovedì a sabato alle ore 21 e domenica alle 18, Sacro e Profano presenta Acino di Fuoco, scritto e diretto da Mario Pirera che fa parte del cast insieme a Gabriella Cerino, Monica Palomby, Paolo Gentile, Laura Vigilante, Manila Cipriano, Fabio Reale, Giuseppe Gavazzi e gli allievi dell’Accademia Vesuviana di Teatro di Gianni Sallustro.

 

Napoli 1799. Nella taverna Acino di Fuoco varia ed eterogenea umanità è in cerca di un momento di ristoro per il corpo e l’anima. S’incontrano lazzari o capolazzari, prostitute, letterati o filosofi, uomini e donne comuni, tutti immersi in un humus di simbiosi tra genialità, bestialità e nobiltà. E tutti intenti a dosare ed equilibrare veleno e indole acuta per raggiungere, se non proprio la felicità, almeno una vita dignitosa. Tra tutti spicca Eleonora con la sua consapevolezza e speranza di veder nascere l’uomo nuovo.

Viene rappresentato un popolo in procinto di partorire che, pur se sottoposto alle lusinghe e alle false promesse di sirene che cercano di farlo abortire – il riferimento è all’omerico Canto delle sirene – tenta disperatamente, nascondendo la sofferenza dietro la maschera della superficialità e genialità, di resistere con propositi e invettive – qui invece il legame è con il Timone d’Atene di Shakespeare e portare a termine la sua gravidanza.

Note di regia

 

Gennaro: «Con il popolo e i lazzari dovremo fare i conti prima o poi. Mi sono spesso chiesto cosa faranno, se i Francesi ci aiuteranno a liberare Napoli. Cosa abbiamo da offrire noi? Cosa guadagnerebbero che già non credono di avere».

Eleonora: «Nessun cambiamento va a buon fine e dura il tempo necessario a dare frutti, se non è capito  e condiviso dal popolo o se il popolo ne viene escluso. Dobbiamo saper parlare concretamente al popolo, che è come un bambino selvaggio, spaventato. Non illuderlo o, peggio, insospettirlo con belle parole che non possono comprendere, insegnargli a riconoscere chi veramente lotta per liberarlo e chi, invece, cerca solo il proprio tornaconto. Prima, però, è indispensabile liberarli dall’oppressione della miseria, dall’insicurezza di poter soddisfare i bisogni elementari, prima che gli oppressi diventino i nuovi oppressori e tutto resti immutato.

Gennaro: «Prima che nuovi invasori, con il miraggio di creare per tutti, anche per il popolo, un’unica ricchezza, approfittando con la forza delle nostre debolezze, riescano a condizionare a loro vantaggio le nostre vite e a depredarci dei beni di questo regno».

 

Le riflessioni fatte da Gennaro e Eleonora dopo un incontro con i lazzari esprimono solo parte dei dubbi che cercavo di dirimere, le domande cui cercavo di dare una risposta, leggendo e studiando saggi, romanzi e documenti di quel periodo della storia di Napoli, tra la fine del 1700 e l’inizio del 1800.  

Ho visto, allora, un popolo, da secoli dominato da altri popoli, capace sì di trasformare ‘O fele d’’o tuosseco,‘o ddoce d’’o speziale in genialità, ma pagare alla creazione di tale anticorpo, al virus della sofferenza letale un tributo enorme: T’ha fatt gginiale ma t’hanno avvelenato l’anema.

E ancora: ho visto un popolo  “gravido” le cui doglie secolari non riescono a “partorire” – vuoi per proprie incapacità e/o colpe, vuoi per le violenze subite nel passato e per quelle sofferte oggi, anche da se stesso, forse le più crudeli – un nuovo «Pulcinella che senta il bisogno di mettersi in condizione di non dover mendicare il cibo, di non dover sperare solo nella generosità del suo padrone, un Pulcinella che conservi tutte le sue capacità geniali di superare le difficoltà della vita ma diverso, non più servo».

Insomma, un popolo fautore e artefice del proprio destino fatto di dignità, giustizia, uguaglianza, libertà.

Ho immaginato, quindi, un popolo in procinto di partorire che, pur se sottoposto alle lusinghe e alle false promesse di sirene che cercano di farlo abortire (dal “Canto delle Sirene” dell’Odissea di Omero), tenta disperatamente, con sofferenza spesso nascosta dietro la maschera della superficialità e impregnata di genialità,  di resistere con propositi e invettive (dal “Timone d’Atene” di William Shakespeare) e portare a termine la sua gravidanza.

Ci riuscirà? Forse un giorno gioverà ricordare…

Ho voluto rappresentare tale sofferenza

 

Mario Pirera

 

 

 

disegno luci Ettore Nigro|scenografia Rebecca Furfaro|grafica e foto Alessandra Pirera

 

 

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Info e prenotazioni al 081 549 0928|info@theatredepoche.it|www.theatredepoche.it

Dal martedì al sabato ore 21|domenica ore 18

Prezzo biglietto intero 10 euro| ridotto 8

 

 

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