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Ispirandosi alle leggende locali ed ai
racconti fiabeschi dei vicini Monti Sibillini, Bordoni interpreta a suo
modo il mito ancestrale del Venusberg. L'antro di Venere, luogo di
perdizione e rinascita, di profezie e visioni trascendenti, è il
crocevia fra il mondo terreno e la profondità degli abissi
sovrannaturali. Là, dove il cavaliere teutonico Tannhauser rischiò di
perdere l'onore e dove in tempi ancora più remoti l'oracolo parlava del
futuro ai mortali, si intrecciano segni e memorie. Terreno fertile per
la riflessione artistica di Bordoni che, oscillando fra natura ed
artificio, dà vita ad un teatro percettivo e rizomatico, un vortice
ascendente che dalle cavità dei monti raggiunge la vetta della torre
attraverso rocce, arbusti, torrenti e tracce di miti che si perdono
nella notte dei tempi.
Il paesaggio, tradizionale banco di prova
per generazioni di artisti, nelle mani di Daniele Bordoni diventa
oggetto di una sperimentazione radicale del gesto pittorico e del segno.
Scorci e orizzonti dissimulati fra sinapsi e reti neurali, il caos e
l'ordine, l'istinto e la ragione: il paesaggio come contrappunto della
psiche, come struttura che si riflette in altre strutture
moltiplicandosi e rifrangendosi, "un gioco che apparentemente tende
all'astrazione ma che in realtà sottolinea la fenomenologia delle cose"
alla ricerca di un lirismo profondo, antico e attualissimo. Le colline
marchigiane diventano così uno spartito su cui le annotazioni si
rincorrono a formare un coro, ora dissonante ora armonico, oppure il
ritmo di una scrittura di cose terribili e magnifiche che appartengono
alla natura piu’ profonda dell’uomo e del creato. |