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L’artista francese
riesce a percepire l’energia di un luogo, l’atipicità di un momento,
l’eloquenza di una postura, ma soprattutto ha nel suo dna la capacità di
presagire, un po’ come gli animali con il proprio istinto percettivo,
quando è il momento di aspettare la grande scossa visiva e come
archiviarla per sempre nella memoria della sua inseparabile Leica:
“Fotografare – scrive Henri Cartier-Bresson – è trattenere il respiro
quando tutte le nostre facoltà di percezione convergono davanti alla
realtà che fugge: in quell’istante, la cattura dell’immagine si rivela
un grande piacere fisico e intellettuale”.
La mostra Henri
Cartier-Bresson. Photographer, che si terrà dal 22 giugno al 3
novembre 2013 al Lu.C.C.A., realizzata in collaborazione con la
Fondazione Henri Cartier-Bresson e con la Magnum Photos di
Parigi, documenta la lucida imprevedibilità di un artista che non ha mai
permesso alla ragione di disciplinare l’istinto e di lenire la forza
delle coscienti illusioni che, con la sua pazienza e maestria, si sono
trasformate negli scatti immortali e infiniti di attimi in divenire.
I campi di
deportazione di Dessau, gli ultimi giorni del Kuomintang in Cina, il
funerale di Ghandhi, il funerale di un attore di Kabuky in Giappone,
ritratti di personaggi come Jean Paul Sartre, Truman Capote, Ezra Pound
ed Henri Matisse, alcuni dei paesi e delle città più particolari del
mondo (tra cui Istanbul, Mosca, Berlino, Parigi, Firenze, Siena, Boston,
Londra, Messico, Siberia, Arizona) uniti a una galleria di dettagli
umani, a una raccolta di espressioni e di emozioni legate alla
spensieratezza e alla meravigliosa incoscienza dei bambini, ai sogni
degli innamorati, al precario riposo di personaggi inseriti in una
quotidianità fermata nell’essenza della sua realtà. |