MOSTRA D'ARTE - Cupra
Marittima (AP)
Giovanni Gaggia
maicol e mirco
Gabriele Silvi
Rita Soccio
Rita Vitali Rosati
in
Marche
Centro d'Arte
testo e cura
Dario Ciferri
L’inaugurazione si terrà
domenica 21 febbraio alle 18:00
La mostra termina il 21 marzo
La Galleria Marconi è aperta tutti giorni
dalle 16.00 alle 20.00, esclusa la domenica
Dopo il successo della collettiva con
Roberto Cicchinè, Armando Fanelli, Niba e Ivana
Spinelli, La Galleria Marconi di Cupra Marittima
domenica 21 febbraio alle 18.00 presenta il secondo
appuntamento di Marche Centro d’Arte. Gli artisti
che partecipano al secondo appuntamento sono:
Giovanni Gaggia, maicol e mirco, Gabriele Silvi, Rita
Soccio e Rita Vitali Rosati. La cura e il
testo critico della collettiva sono di Dario Ciferri.
Marche Centro d’Arte è un progetto che
rientra nella rassegna Non lo so e non lo voglio
sapere ed è un mini ciclo di tre mostre che la
Galleria Marconi dedica ai fermenti artistici
marchigiani, presentato già lo scorso anno, è stato
riproposto dopo il successo riscosso. Marche Centro
d’Arte vuole dare voce e spazio a un territorio che
presenta al suo interno una pluralità di prospettive,
idee e linguaggi e che ha fatto di questa sua pluralità
un punto di forza e distinzione.
“La contemporaneità è un punto fermo che
ogni artista deve affrontare e tenere presente nel
proprio lavoro, sia che ne parli o che la rigetti.
Marche Centro d’Arte parte da un luogo ben definito, un
territorio, per allargarsi a qualcosa di più ampio, una
riflessione sul nostro tempo e sul senso dell’uomo in
esso.
Giovanni Gaggia prende e maneggia il
cuore dell’uomo, non lo manipola ma lo rende reale sulla
tela in un percorso di scoperta dell’essere umano, della
sua energia, della sua intimità e del suo spirito.
Una natura che si è persa, straniata e
straniante, un mondo buffo e allucinato ci appare con
lucida ironia nelle opere di maicol e mirco. Una follia
che non è il nostro mondo, ma non si discosta poi molto
dalle nostre paure.
Nelle opere di Gabriele Silvi tutto è
filtrato attraverso il gioco, un gioco che però mostra
sempre un meccanismo spezzato, come se nel divertimento
qualcosa fosse andato storto e adesso fosse fuori
controllo.
La pubblicità detta ormai i ritmi della
nostra vita, gli impone tempi e valori, Rita Soccio
attraverso l’uso dei brand pubblicitari stravolge il
senso dei prodotti e veicola nuovi messaggi che parlano
alla coscienza di tutti.
Il dolore, il senso di mancanza, una
sofferenza che accompagna e accomuna ogni essere umano,
Rita Vitali Rosati guarda all’animo umano e ci racconta
i traumi, piccoli e grandi che si trovano in ciascuno di
noi”. (Dario Ciferri)
Non lo so e non lo voglio sapere non è
solo una risposta, è anche una provocazione, un
atteggiamento e in fondo una forma di agnosticismo, che
nel caso dell’arte potremmo definire culturale. È un
modo per affrontare i grandi quesiti dell’umanità: da
dove veniamo? Dove andiamo? Perché il dolore? Perché le
patate al forno sono sempre troppo poche?
Una risposta spesso comoda, a volte
sconvolgente, che esprime una volontà di ignoranza che è
molto lontana dall’affermazione socratica che il vero
saggio è colui che sa di non sapere. Non c’è nessuna
tensione alla conoscenza, nessuna curiosità, solo
distacco e indifferenza.
Spesso davanti a una proposta di tipo
artistico questa frase arriva e fa un po’ male. Chi la
adotta può sembrare un po’ fuori dal tempo, ma in verità
spesso appartiene a una maggioranza, nemmeno troppo
silenziosa.
Sarebbe legittimo adesso rispondere alla
domanda: perché intitolare in questa maniera una
rassegna di mostre?
La risposta in fondo è già nel titolo
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