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SPETTACOLO FOCH - Bergamo

Föch

 

7-8-9 Gennaio 2010

con

Pietro Bailo, Elena Borsato, Miriam Gotti, Marco Robecchi, Alberto Salvi

arrangiamento canti

Miriam Gotti

luci

Pietro Bailo

costumi

Roberta Valli

assistente alla regia

Ilaria Pezzera

regia

Alberto Salvi

 

Lo spettacolo

Fuori nevica, di traverso, fa freddo e il vento pela la faccia. Dentro meno, c’è la

paglia e le bestie, ma non basta. Il fuoco serve. Ma manca la legna e pure la

nonna che è andata a prenderla, la legna. Non si può cominciare, la veglia. Non si

può finire, la giornata.

La Rosina è incantata. Guarda la neve scendere, ogni fiocco una proposta, un

fidanzato, un buon partito. Buon mestiere uguale pancia piena, famiglia

assicurata, tetto sulla testa, piatto caldo, letto morbido, felicità… Alla Rosina,

però, piace il Piero. Perché gli vuol bene e questo basta, la Rosina è contenta. Il

Bepo, che di lei è il fratello, le femmine le conosce. Mica una o due, lui ne fa

girare tante, tutte le conosce. Il Tone neanche una. O forse una sì, la conosce,

anche troppo. La Maria è madre dei tre, attenta e comprensiva, le sue creature

crescono ma lo devono fare con dignità e rispetto. Fuori c’è un mondo insidioso,

duro, inesorabile, bisogna essere pronti. Poi c’è il nonno, sguardo distratto,

assente, smemorato e sordo. Sembra. In realtà al nonno non sfugge niente, e

quando deve, arriva, senza risparmiare nulla a nessuno. Perché lui sa. E tutti lo sanno.

Fame, freddo e lavoro. Pance vuote che urlano polenta, facce tagliate dal vento e segnate dal sudore, mani

gonfie di zappa, badile e falce. Con l’energia che fa di tutto questo non annichilimento, autocommiserazione,

ma forza esplosiva e convulsiva, puro istinto di sopravvivenza. La vita non la si guarda, ne la si commenta e

analizza, non la si vive semplicemente e serenamente, noi la si mangia, la si sbrana. Sennò è lei a ingoiarci.

Senza appelli.

 

Il percorso

Nei primi anni del secolo XX la famiglia contadina era unità allargata, estesa. Comprendeva i discendenti di

una stessa linea familiare, ma poteva altresì far convivere al suo interno diversi nuclei familiari. Nella famiglia

rurale, inserita in un sistema economico di tipo artigianale, prevalevano schemi di autorità patriarcale. Il

governo degli affari familiari era affidato ai più anziani. La famiglia contadina si distingueva perché fondata su

uno stato di fatto: l’affetto dei suoi componenti.

Grande nucleo famigliare rappresentativo di un sistema sociale autarchico, ma non solo, anche intreccio di

relazioni, amori, intrighi, faide e vendette.

Luogo di importanza fondamentale, che assume significato sacro, era la stalla, dove, durante le lunghe sere

d’inverno, si svolgeva la veglia.

Attraverso il recupero della lingua parlata, il dialetto, con storie, leggende e canzoni popolari tradizionali e la

costruzione dei personaggi, secondo le dinamiche relazionali interne, si vuole raggiungere la rappresentazione

di un affresco storico popolare dell’Italia del secolo scorso.

 

Dati tecnici

Spazio scenico: 8x6 metri circa

Attacco elettrico: 15 Kw, presa pentapolare a 380V 32A

Durata spettacolo: 1 ora

Tempo di montaggio: tre ore

 

“Lo spettacolo Föch mette in scena con delicata ironia e intensa commozione uno spaccato della vita contadina bergamasca riunita intorno al

focolare domestico in una notte di neve: un’intimità familiare dove ogni semplice gesto della quotidianità acquista una sacralità rituale in cui si

fondono senza soluzione di continuità il religioso e il profano, nella cornice di una performance sostenuta dalla forza travolgente del dialetto e del

canto popolare, rielaborati entrambi all’interno di una drammaturgia mai nostalgica o retorica, ma al contrario viva e pulsante.”

Giuria del Bando di Concorso “I Teatri del Sacro”

"...Una gemma fulgente, un cammeo, è da definire tra quelli da noi visti, lo spettacolo proposto da un più che promettente giovane gruppo

bergamasco, «Araucaìma Teater». Il loro Föch a balzare sulla scena come un piccolo meteorite per la forza interpretativa e l’originalità

drammaturgica. Nel loro aspro ma avvincente dialetto, i cinque bravissimi attori e cantanti ad evocare scampoli di vita rurale intrisa di forte

religiosità della loro terra agli albori del secolo scorso. Il racconto di una famiglia di contadini stretta in una stalla – canti e preghiere, le

dinamiche relazionali..."

 

“Avvenire” - 29 settembre 2009 - Domenico Rigotti

 


 

 

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