“CAVALIERI
ETRUSCHI DALLE VALLI AL PO
Tra Reno e
Panaro, la valle del Samoggia nell’VIII e VII sec.a.C”
Inaugura sabato
12 dicembre alle ore 18 la grande mostra archeologica
che
rimarrà alla
Rocca dei Bentivoglio, a Bazzano (BO) fino al 5 aprile
2010
Bucefalo e
Alessandro Magno, Incitatus e Caligola, Marengo e
Napoleone, Marsala e Garibaldi. I mitici
Pegaso e
Unicorno, i cavalli del sole del carro di Apollo e la
"cavallina storna" cantata dal Pascoli. Da sempre
il cavallo
partecipa alla storia dell'umanità da autentico
protagonista: non è un caso che se ne sia usato uno,
seppur di legno,
per espugnare l’impenetrabile Troia. Il rapporto tra il
cavallo e il suo compagno di elezione, il
cavaliere, non è
un rapporto tra mezzo e utilizzatore, è un binomio
paritetico. Efficace strumento in una serie
di attività
fondamentali, dalla circolazione al traino, dal
trasporto all’agricoltura, fedele compagno a caccia e in
guerra, nobile
partner in manifestazioni ludiche o religiose,
apprezzato per l’elevato valore economico, da
sempre il cavallo
è un'icona di prestigio e di potere, vero e proprio
status symbol.
Già nel mondo
antico il suo possesso è un tale segno di distinzione
sociale da far sì che agli inizi dell'età del
Ferro cominci ad
affermarsi, anche a livello iconografico,
un’aristocrazia che potremmo definire “equestre”.
Man mano che
all’interno delle prime comunità protourbane iniziano a
differenziarsi, per rango, ricchezza e
prestigio, i
primi gruppi emergenti, le loro sepolture si riempiono
di morsi, finimenti e bardature equine, puntali
e sonagli da
carro, fibule ed altri oggetti configurati a cavallino,
a volte carri, a volte addirittura cavalli (come
nella necropoli
di Via Belle Arti a Bologna o in quella di Verucchio,
nel riminese), ad indiziare la progressiva
identificazione
di cavalleria e patriziato, e a ribadire, anche a
livello funerario, il ruolo eminente dei possessori
di carri e
cavalli.
La mostra
"Cavalieri Etruschi dalle Valli al Po" illustra i
più recenti studi sulle testimonianze della prima età
del Ferro ad
ovest di Bologna, dati e confronti da cui emerge una
connotazione specifica –leggibile a livello di
testimonianze
funerarie– legata all’uso e all’esibizione del cavallo e
del carro da parte di individui eminenti
all’interno delle
comunità dislocate nelle valli del Samoggia, del Reno e
del Panaro.
L'esposizione è
curata da Rita Burgio e Sara Campagnari ed è promossa
dal Museo Civico Archeologico
“Arsenio
Crespellani” di Bazzano (BO) e dalla Soprintendenza per
i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna.
Partecipano alla
mostra, e relativo catalogo, gli Istituti prestatori di
una parte dei reperti, Museo Nazionale
Etrusco "Pompeo
Aria" di Marzabotto, Museo Civico Archeologico di
Bologna, Museo Civico Archeologico
Etnologico di
Modena, Museo Civico di Castelfranco Emilia, Museo
Archeologico Ambientale di San Giovanni
in Persiceto,
Museo Civico di Stellata di Bondeno e la Soprintendenza
per i Beni Archeologici della Toscana.
Corredo ceramico
dalla
Tomba 2 (prima
metà VII
sec.a.C.),
rinvenuta in via
Isonzo a
Casalecchio di
Reno - scavi 1975
Fulcro
dell’esposizione è
l’analisi del
popolamento
della Valle del
Samoggia,
attestato
probabilmente sin
dagli inizi dell’VIII
secolo a.C.
e ben
ricostruibile nel VII
sec.a.C.,
purtroppo quasi
esclusivamente
sulla base di materiali rinvenuti in contesti tombali
scavati nell’Ottocento. A tal fine sono stati
analizzati
topograficamente i siti dell’area collinare, dell’alta,
media e bassa valle.
Lo studio di
queste testimonianze è stato il “pretesto” per
addentrarsi in tematiche di ben più ampia portata,
illustrate
attraverso il confronto con alcuni dei reperti più
significativi dalle valli del Reno e del Panaro, e
l’analisi dei
rapporti tra esse e quel versante della Toscana
costituito dalle aree di Firenze, Prato e Pisa.
La mostra "Cavalieri
Etruschi dalle valli al Po. Tra Reno e Panaro, la valle
del Samoggia nell’VIII e VII
sec. a.C."
espone più di 400 reperti archeologici provenienti da
corredi tombali dalle aree esaminate: ci sono
parures di
fibule ed altri oggetti di ornamento in bronzo, osso,
ambra e pasta vitrea, ceramiche, tutti oggetti
deposti nelle
tombe con evidente valore simbolico collegato al rito,
nonché espressione del rango e del ruolo
di individui
appartenenti a quel ceto aristocratico che a partire
dalla metà dell’VIII secolo a.C. iniziò ad
affermarsi con
forza sempre maggiore. Un esempio evidentissimo della
presenza delle aristocrazie rurali ad
ovest di Bologna
è poi costituito dalle stele protofelsinee e dai
segnacoli funerari con immagini antropomorfe
esposti. Simbolo
e star del percorso espositivo è la ricostruzione a
scala naturale della Tomba 2 di
Casalecchio di
Reno, con stele protofelsinea e corredo originali.
La Tomba 2,
rinvenuta a Casalecchio di Reno (Via
Isonzo) nel 1975.
La tomba sarà ricostruita a scala
naturale e con il
corredo originale nella mostra di
Bazzano
Prodotto naturale
degli studi degli anni passati, questa
mostra offre
l'occasione per presentare nella loro interezza,
talora per la
prima volta, le testimonianze della prima età
del ferro
provenienti dalla vallata del Samoggia. Tra queste,
l'esposizione
integrale dei reperti bazzanesi, (attualmente
conservati anche
al Museo Civico Archeologico Etnologico
di Modena),
insieme a quelli della vallata, rappresenta per il
visitatore
un’occasione unica per una visione esaustiva
delle
testimonianze
attualmente
provenienti dal
territorio.
All'interno del
percorso
espositivo, un ruolo non secondario è rivestito
dall'analisi
della figura del
cavallo e del cavaliere. Nelle tombe più ricche di
epoca
villanoviana la figura del cavallo è una costante, sia
(e
soprattutto)
attraverso la deposizione di oggetti connessi alla sua
bardatura o al
carro, che sotto forma di raffigurazioni in ceramica. È
una figura che
presenta due valenze inscindibilmente legate, quella
di indicatore
sociale di personaggi di alto rango e quella di simbolo
del viaggio degli
stessi nell’oltretomba.
Gli ultimi studi,
di sintesi, sulle testimonianze della prima età del
ferro ad ovest di
Bologna hanno fatto emergere una connotazione
specifica
–leggibile a livello di testimonianze funerarie– legata
all’uso e
all’esibizione del cavallo e del carro da parte di
individui
eminenti
all’interno delle comunità dislocate nelle valli del
Samoggia, del
Reno e del Panaro. Numerose tombe restituiscono infatti
morsi equini, oggetti legati alla
bardatura del
cavallo nonché riferimenti più o meno espliciti al suo
possesso, esibiti all’interno di un complesso
rituale funerario
che prevede la deposizione di offerte alimentari, di
oggetti con funzioni squisitamente rituali,
caratterizzati da
forme e decorazioni peculiari, e di oggetti sottratti
alla sfera dei vivi mediante
defunzionalizzazione. Particolarmente interessanti,
infine, i risultati delle analisi archeobotaniche
effettuate in
sezioni di scavo
limitrofe alle tombe. Gli studi pollinici, antracologici
e carpologici dei campioni prelevati ai
margini delle
sepolture villanoviane hanno reso possibile approfondire
aspetti collegati non solo al contesto
rituale e
funerario, ma anche alla vita quotidiana e alle attività
che si svolgevano nell'area circostante la zona
del rinvenimento,
consentendo di ricostruire il quadro ambientale e
vegetazionale che faceva da sfondo alle
tombe e, più in
generale, alle aree dalle Valli al Po tra l'VIII e il
VII sec. a.C. L'esposizione è affiancata da un
percorso
didattico sugli Etruschi, per le scuole, relativo alle
tematiche affrontate in mostra; sono inoltre
disponibili
audioguide e visite guidate per gruppi di adulti.
Contatti tra
vallate e rapporti con l'Etruria settentrionale
Per ogni vallata
sono state analizzate idrografia, popolamento (villaggi,
necropoli e tipologie tombali) e i
contatti con
Bologna e le altre valli.
La Valle del
Samoggia, sostanzialmente
“chiusa” in
direzione dell’Appennino all’altezza
di Savigno, è
tuttavia risultata collegata con
itinerari
transvallivi (oltre che con il percorso
pedemontano) con
le due ben più importanti
vallate/direttrici di traffico del Reno (attraverso
la valle della
Venola) e del Panaro (attraverso il
rio Marzatore e
il torrente Ghiaie), principali vie
di contatto con
l’Etruria Settentrionale.
Sulla valle del
Reno, ad ovest di Felsina e
posto su
un’importante guado del fiume,
l’insediamento di
Casalecchio (all’imbocco
della strada
verso la Toscana) ha restituito
nella sua
interezza il ricco corredo della Tomba
2 –inizi del VII
sec.a.C., con stele
protofelsinea-
che verrà esposto
contestualmente
alla ricostruzione della tomba
e con una
selezione di materiali dalla
necropoli.
Proseguendo verso sud è Pontecchio, in località San
Biagio, ad offrire le testimonianze della
presenza di
gruppi che controllano la via del Reno, con la ricca
Tomba 1, databile alla prima metà del VII
sec.a.C., ancora
ben inserita nella temperie culturale bolognese ma
aperta probabilmente ad influssi
dell’Etruria
Settentrionale.
Dopo Marzabotto,
che presenta tracce di frequentazione di fase
villanoviana nell’area della futura città etrusca,
sul versante
occidentale della vallata, si apre la via della Venola
(collegata al Samoggia), con importanti
attestazioni
dalla piccola necropoli di cinque tombe, di cui una
contraddistinta da una stele con figura di
defunta (esposta
in mostra), della seconda metà dell’VIII – inizi VII
sec. a.C. L’analisi dei corredi ha consentito
di precisare
ulteriormente l'eventuale presenza di influssi diversi
da quello bolognese.
Oltre
l’Appennino, il diretto referente della Valle del Reno è
costituito dalle comunità stanziate nella piana tra
Firenze, Prato e
Pistoia. Qui, in fase villanoviana, si concentrano
le testimonianze più significative,
provenienti
principalmente da piccole necropoli che confermano, già
a partire dalla metà dell’VIII sec. a.C., la
vivacità dei
contatti con l’area padana, evidenti nella composizione
dei corredi funerari più che nel rituale o
nell'architettura
della tomba.Particolarmente interessante è il confronto
tra le tombe del villanoviano bolognese
e quelle di Sesto
Fiorentino, Val di Rose e Madonna del Piano, nonché con
i corredi di Firenze e i materiali
villanoviani di
Fiesole.Numerosi elementi di confronto con l’area
bolognese offre infine la tomba a pozzo dal
tumulo B della
necropoli di Prato Rosello di Artimino, che attesta la
presenza di individui eminenti alle soglie
dell’Orientalizzante -in diretta continuità con i loro
discendenti che costruiranno i tumuli- nell’area alla
confluenza tra
Arno e Ombrone, egualmente ben collegata con gli
itinerari transappennici.
Il Panaro
costituisce un altro e non secondario collegamento per
la valle del Samoggia, sia attraverso gli
itinerari
transvallivi, sia soprattutto attraverso la via
pedemontana sulla quale si attesta l’importante nucleo
di
insediamenti
facente capo a Savignano sul Panaro. Se per l’alta valle
del Panaro le tracce di insediamenti nel
Villanoviano sono
particolarmente evanescenti, già all’altezza di Marano
alcuni materiali in bronzo, tra i quali
una fibula con
numerali incisi della seconda metà del VII sec. a.C.
attestano una notevole vitalità dell’area. Ma
sono soprattutto
i sepolcreti savignanesi che, a partire dall’VIII e
addirittura dal IX sec.a.C (necropoli Cà
Bianca e podere
Fallona), testimoniano l’inserimento del territorio
nell’ambito dell’espansione bolognese, con
modalità da
precisare ulteriormente alla luce delle testimonianze
più antiche. Più a nord, in corrispondenza del
tracciato della
futura via Emilia, Castelfranco ha restituito un
importante sepolcreto databile tra la metà dell’VIII
e il VII sec.
a.C., anch’esso ben riconducibile alla fase
espansionistica di Felsina verso Ovest.
Morsi equini in
bronzo con montanti “a pelta”
(VIII sec. a.C.).
Castelfranco Emilia (MO),
podere Pradella,
scavi ottocenteschi
(Museo Civico
Archeologico di Bologna)
La valle del
Panaro a Nord, verso il Po è aperta
invece ad
influssi non solo bolognesi, ma anche
atestini,
romagnoli e dell’Emilia occidentale, ben
evidenziati nei
reperti dalla necropoli di Bondeno
- Santa Maddalena
dei Mosti, databile al
Villanoviano IV,
nonché dai resti di abitato del
Fondo Colletta,
dal Fondo Marchesa, Fondo
Barchessa.
I contatti
transappenninici tra la valle del Panaro
e la Toscana nel
villanoviano appaiono, stando
all’attuale
documentazione archeologica,
piuttosto
evanescenti. Probabilmente per l’epoca è possibile
ipotizzare come già attivo il percorso viario
costituito dalla
valle del Serchio che attraverso la valle del Lima
risulta collegata al Panaro.
Sul versante
toscano l’attestazione più settentrionale è costituita
dalla fase di VIII sec. a.C. dell’abitato del
Chiarone di
Capannori nella piana di Lucca, i cui materiali
presentano contatti con quelli bolognesi, ma anche
volterrani, alla
quale segue una fase di ripiegamento e “chiusura” delle
comunità locali nella fase
orientalizzante.
Un altro importante referente per la valle del Panaro
era probabilmente anche l’insediamento
di Pisa, attivo
–secondo gli ultimi importanti rinvenimenti– già a
partire dalla fase villanoviana.
Spada ad antenne,
in bronzo, tipo Weltenburg (770-720 a.C.) Rinvenuta in
via di Gaibola a Ronzano
(BO), scavi 1848
(Museo Civico
Archeologico di Bologna)
Cavallo e
cavaliere: una storia millenaria
Difficilmente
l'uomo contemporaneo percepisce l'importanza che gli
animali domestici rivestivano per le
condizioni di
vita dell'umanità, non solo dal punto di vista
alimentare ma per molte altre funzioni oggi risolte
con l'uso di
“macchine”, dai movimenti ai trasporti, dalla forza
lavoro alla caccia, alla guerra.
Fino
all'introduzione della macchina a vapore, il cavallo in
particolare ha rappresentato un compagno
indispensabile
dell'uomo in tutta una serie di attività fondamentali,
dalla circolazione veloce di persone
montate, al
traino di vetture per viaggi più lunghi, al trasporto
delle merci, agli usi secondari in agricoltura
(dove venivano
preferiti buoi ed asini), all'utilizzazione in battaglia
e per gli inseguimenti della selvaggina. Per
questo abbiamo
tutta una serie di autori antichi sia greci che latini
che hanno dedicato trattati specifici al
cavallo, al suo
allevamento e addestramento.
Tuttavia il
possesso del cavallo, o di più cavalli, era considerato
nel mondo antico anche un segno di
distinzione
sociale, specie nel momento in cui agli inizi dell'età
del ferro si andavano differenziando all'interno
delle prime
comunità protourbane gruppi emergenti dal punto di vista
del rango, della ricchezza e del prestigio.
Le attenzioni e
le cure da destinare all'allevamento e all'addestramento
dei cavalli, specie di quelli destinati a
compiti
specialistici, come la guerra o la caccia, richiedevano
possibilità economiche e probabilmente la
disponibilità di
personale addetto a questi compiti.
Con l'età del
Bronzo Finale (quando oltre al combattimento su carro
comincia a diffondersi quello da sella) e
poi con la prima
età del Ferro, l'ideologia di un'aristocrazia che
potremmo definire “equestre” si afferma
pienamente e in
modo consapevole anche a livello iconografico, a partire
proprio dal mondo greco. Basterà
ricordare il
frequente comparire di immagini di cavalli, plastiche e
dipinte, sulla ceramica geometrica delle varie
produzioni
greche, o i bronzetti votivi che li rappresentano. ma
anche la definizione che veniva data delle
classi dominanti
ad Atene (ippeis, tetrippotrophoi) come in Eubea (ippobotai)
e il rilievo sociale che in diverse
città aveva la
condizione di cavaliere o di allevatore, anche in
ragione dell'impiego militare del cavallo. La
documentazione
archeologica del mondo greco conferma già da un' età
molto antica il ruolo eminente dei
possessori di
carri e di cavalli, che si
estrinseca anche
a livello funerario.
Anche a Roma la
più antica tradizione
istituzionale
prevedeva che tre centurie di
cavalieri (300
uomini) fossero fornite
all'esercito dai
ranghi delle tre tribù (Ramnes,
Titienses e
Luceres); il legame del cavallo alla
simbologia regia
è inoltre ben testimoniato da
una serie di
cerimonie religiose di origine
antichissima.In
ambito etrusco il quadro è più
complesso, anche
se l'impiego della cavalleria
a livello
militare, come forza decisiva, è
attestato in età
arcaica almeno per la battaglia
di Cuma del 524
a.C.Più significativi sembrano
i riferimenti che
collegano l'ordine equestre alla
monarchia etrusca
a Roma. Le fonti sembrano
indicare che
almeno nella dinastia etrusca di
Roma, tra VII e
VI secolo a.C., l'erede
designato al
trono, che sia o meno figlio del sovrano in carica,
comandi la cavalleria o, almeno, si legittimi
attraverso questo
ruolo. Il carro parrebbe invece riservato al sovrano,
almeno nelle manifestazioni pubbliche
(dagli Etruschi
verrebbe a Roma l'uso del Trionfo, in cui il condottiero
vincitore sfila sulla quadriga insignito dei
simboli ereditati
dai re etruschi e da Vetulonia).