La mostra si
apre con la sezione Rocce e acque, in cui
vedremo come con un semplice e perentorio
segno – il confine naturale – le mappe
indurranno monti e fiumi a diventare
strumenti capaci di separare e dare forma
fisica a gruppi etnici, linguistici, nazioni
per trasformarli da “espressione geografica”
a stati. La seconda sezione, Segni umani, si
occuperà di raccontare l’uso del sapere
geografico a fini propagandistici per
trasmettere con forza l’idea di nazione
ancora prima della sua ufficiale
proclamazione politica. La terza parte,
Carte da guerra, porrà l’accento sulla
coesistenza di due approcci culturali
apparentemente inconciliabili, nel contesto
della Prima guerra mondiale: simboli grafici
per significare la smisurata industria
bellica disseminata sul fronte del Piave,
insieme a segni che testimoniano la presenza
di migliaia di colombi viaggiatori che
volando imprendibili ad alta quota e
percorrendo grandi distanze in breve tempo,
informano e trasmettono ordini. Mortai da
305 mm che esplodono proiettili di 400 kg
alti come un uomo, e palloni frenati sospesi
a centinaia di metri dal suolo «che in lunga
fila si dondolano nell’azzurro lungo il
corso del Piave» come racconterà lo
scrittore-tenente Fritz Weber, nemico sulla
riva opposta.
In mostra apprezzeremo la capacità delle
carte di mettere ordine a un mondo
altrimenti caotico, per renderlo più
comprensibile e familiare, distinguendo gli
oggetti, ma soprattutto nominando i luoghi
per consentirci di riconoscerli, uno a uno.
In tutte le epoche le mappe, prodotti
sociali e umani per eccellenza, hanno
raccontato i luoghi anche attraverso i
toponimi esercitando su di essi un potere a
volte aggressivo. Specialmente quando hanno
alterato la grafia originaria di nomi
secolari o addirittura quando questi ultimi
sono stati sostituiti da altri di nuovo
conio per farli corrispondere ai più recenti
dominatori: l’olandese Niew Amsterdam
diventa l’inglese New York; la tedesca
Karfreit muta nell’italiana Caporetto per
divenire la slovena Kobarid; l’asburgica
Sterzing diventa la romanizzata Vipiteno. O
ancora per rispondere a impellenti urgenze
sociali e dar voce a speranze territoriali
prima inespresse: “Alto Adige”, “Venezia
Tridentina”, “Venezia Giulia”, o
semplicemente, nel caso di un fiume,
cambiandone il genere.
La secolare Piave degli zattieri cambia
sesso nel 1918 per offrire maggiore
resistenza virile all’invasione austriaca e
diventa “Il Piave” per rassicurare
l’immaginario collettivo della giovane
nazione italiana.
Ma è proprio vero che La geografia serve a
fare la guerra? Certo, senza geografia le
guerre non sarebbero nemmeno immaginabili,
ma a fare la guerra è sempre l’uomo che per
raggiungere i suoi obiettivi è disposto a
utilizzare tutti i saperi disponibili come
quelli della fisica, della chimica, della
geometria o della matematica.
Questa mostra parla anche di un’altra
geografia possibile, una geografia
necessaria per riflettere e agire sul mondo
quando proviamo a osservarlo dall’alto
sfogliando le pagine dell’atlante
rinascimentale di Abramo Ortelio che adotta
il medesimo punto di vista di Dio, o
contemplando The Blue Marble, la prima
fotografia del pianeta terra vista
dall’obiettivo degli astronauti dell’Apollo
17. Una geografia che moltiplica le sue
potenzialità ogni volta che un artista
decide di dialogare con una carta geografica
– e in mostra saranno esposti tappeti
geografici e alcune opere di artisti
contemporanei.
Ma soprattutto si potrà riflettere su
un’altra geografia in grado di insegnarci a
conoscere e progettare i luoghi attraverso
un ininterrotto dialogo con i processi
storici e di persuaderci con l’esempio di
due autorevoli testimoni di un secolo fa, il
geografo Cesare Battisti e lo storico
Gaetano Salvemini, che «non esistono confini
politici naturali, perché tutti i confini
politici sono artificiali, cioè creati dalla
coscienza e dalla volontà dell’uomo».
L’allestimento che Fabrica propone è un
viaggio esperienziale, alla scoperta delle
diverse mappe geografiche e dei luoghi che
le hanno ispirate, attraverso la creazione
di ambienti che coinvolgono il pubblico a
percorrerli, a interagire con essi. Elementi
dal design lineare e pulito, essenziali per
valorizzare al meglio i pezzi in mostra,
insieme a una grafica che reinterpreta in
una chiave contemporanea gli elementi della
cartografia tradizionale.
L’intero progetto della mostra –
allestimento e comunicazione – si combina
con gli spazi di Palazzo Bomben, ricco di
affreschi e di storia, in un dialogo di
reciproca valorizzazione.
Iniziativa realizzata con il contributo
della Regione del Veneto, ai sensi della
legge regionale 11/2014, art. 9, nell’ambito
del programma per le commemorazioni del
centenario della Grande Guerra.
La geografia serve a fare la guerra?
Representation of human beings
mostra della Fondazione Benetton Studi
Ricerche
a cura di Massimo Rossi e con la partnership
di Fabrica
inaugurazione sabato 5 novembre ore 18
aperta da domenica 6 novembre 2016 a
domenica 19 febbraio 2017
martedì-venerdì 15-20, sabato e domenica
10-20
Treviso, Fondazione Benetton Studi
Ricerche,via Cornarotta 7
tel. 0422.5121, fbsr@fbsr.it. www.fbsr.it
ingresso intero: 6 euro, ridotto: 5 euro,
ridotto scuole: 4 euro |