Interrogato da
Alan Jones, Paolo Manazza racconta: “Un
quadro è finito quando lo dice lui, anche
con delle parti che rimangono apparentemente
aperte. Fermarsi al momento giusto significa
in sostanza cristallizzare l’immagine e la
composizione cromatica in un momento in cui
è in grado di proiettare la massima
intensità dell’energia formale. Ossia dare
spazio a quella forma che apre le porte
dell’invisibile. Ciò che voglio dire è che
la misteriosa, inafferrabile qualità di ogni
opera (quale che sia il suo contenuto,
astratto o figurativo) è una qualità allusa
da parole e termini vaghi come lirico o
sublime. Come giustamente diceva de Kooning
lo scopo della pittura è principalmente
catturare il nulla di un quadro, 'la parte
che non è raffigurata ma che è lì per via
degli elementi che vi sono dipinti’. Sì,
credo sia proprio così."
Mentre Giandomenico di Marzio scrive che
“Paolo Manazza appartiene a quella
generazione di artisti che ancora oggi, nel
vasto mare dei nuovi linguaggi dell'arte
contemporanea, si ostina a esplorare le
infinite possibilità della pittura... La
ricerca del colore solo in apparenza sulla
scia dei grandi padri dell'espressionismo
astratto, arriva a una dimensione più
esistenziale e spirituale che incontra una
parte integrante delle esigenze del nostro
tempo... L'anima è un pianoforte... La mano
dell'artista, nel caso di Manazza, tocca la
voglia di giocare con la forza e la
luminosità del pigmento per arrivare a un
effetto mistico, sentimentale e
trascendente... Un impegno verso la lezione
di Mark Rothko: la rivelazione di emozioni
assolute”.
Per Massimo Mattioli, Paolo Manazza "fa
tesoro della sua conoscenza
dell’Espressionismo astratto e del Color
Field americani, ma poi torna alla sua
personalissima indagine sulle possibilità
illimitate della pittura. Il suo luogo
evocativo alla fine sta nella vibrazione,
giocata fra toni e timbri dei colori: è
quella che instaura la comunicazione
subliminale con l’osservatore”
Questi recenti dipinti dai formati diversi -
che saranno esposti per un mese da
Robilant+Voena a Milano - esplorano il senso
di sovrapposizione del colore - nel segno di
tutti gli insegnamenti ricevuti
dall’Informale europeo e statunitense - alla
ricerca di una personale e contemporanea
visione.
I lavori di questo artista si inseriscono
nel grande recupero della pittura, intesa
come momento gestuale e primario, che
ritroviamo oggi in numerose situazioni
internazionali e che percorre sempre, come
un fil rouge, la storia dell'arte recente da
Helen Frankenthaler a Günther Förg. Paolo
Manazza fa un uso del colore totalmente
spregiudicato senza concedere nulla
all'incertezza e ci racconta come uno
sguardo della realtà cromaticamente
interpretata sia l'unico possibile modo di
“vedere” il mondo interno ed sterno.
Le tele di Paolo Manazza – osserva Alan
Jones nel catalogo della mostra – sono
distillate da un ceppo per molti anni
rinnegato. Sono prodotte con criteri
altamente raffinati che sfuggono la
'raffinatezza’ -nel senso peggiorativo del
termine- ossia tutti quegli ingredienti
retorici di moda e di appropriazione,
reificazione, e riproduttività fotografica.
Ogni dipinto –prosegue Jones- è un
soliloquio un dialogo tra l’artista e il
proprio sé, come le due parti di Bach, una
traduzione simultanea nella lingua della
pittura dove la ‘composizione’ è la
grammatica, e il colore è il vocabolario”.
In occasione della mostra la galleria
Robilant+Voena pubblica un catalogo di cento
pagine con un saggio di Alan Jones e i
contributi critici di Giandomenico Di Marzio
e Massimo Mattioli.
Per informazioni: tel. +39 02 805 6179 •
info@robilantvoena.com
Date di apertura: 8 giugno – 8 luglio 2016
inaugurazione della mostra:
UNTITLED
Paolo Manazza
Mercoledì 8 giugno, dalle ore 18.00
Galleria Robilant+Voena,
Milano, via Fontana 16 |