Non è un caso
se questa importantissima mostra sia stata
dedicata all’uomo che ha perso la vita per
salvare Palmira dalla furia dell’Isis. E
proprio dalla città Patrimonio dell’Umanità,
oltre che spettacolari immagini come quelle
del documentario di Federico Fazzuoli ed
Elisa Greco "Palmira: la meraviglia del
deserto", giunge uno dei gioielli di questa
mostra, il potente volto di un antico
sacerdote: una scultura del II-III secolo
appartenuta alla collezione Zeri, ora nei
Musei Vaticani, proveniente proprio dal sito
siriano.
Elena Maria Menotti e Sandrina Bandera hanno
concentrato in questo imperdibile percorso
espositivo, immagini, storie, reperti,
testimonianze di eventi di casa nostra e del
mondo. Per documentare, certo. Ma anche per
condurre il visitatore “dentro” le vicende
descritte. A questo provvedono le due
“stanze dei suoni”, una dedicata alla guerra
e l’altra al terremoto, che trasmettono
l’eco delle sensazioni di chi ha vissuto le
angosce dei bombardamenti aerei notturni e
di chi ha subìto il trauma di un sisma.
Emozionano in mostra i filmati realizzati
dal regista Cristiano Barbarossa, che
raccontano i fatti e i personaggi che hanno
interessato il salvataggio della memoria sia
in caso di conflitti sia in caso di calamità
naturali, permettendoci di rivivere momenti
terribili come il crollo delle volte della
basilica di San Francesco ad Assisi e il
terremoto dell’Aquila, o quelli
immediatamente precedenti allo scoppio della
guerra in Iraq nel 2003.
Ad approfondire i temi illustrati dalla
mostra sono le visite guidate e le
Conferenze del giovedì (dal 7 aprile al 26
maggio) curate da Elena Maria Menotti,
momenti d’incontro e con esperti di
rilevanza nazionale e internazionale.
Proprio per non privare nessuno di questa
opportunità di approfondimento, le
Conferenze del Giovedì sono ad ingresso
gratuito, a cura della Società per il
Palazzo Ducale di Mantova in collaborazione
con il Polo Museale della Lombardia e grazie
al contributo del Comune di Mantova.
Ma Salvare la memoria è anche l’occasione,
da lungo tempo attesa, di ammirare un luogo
che si aggiunge alle molte attrattive di
Mantova. Sono gli spazi destinati a
completare il Museo Archeologico Nazionale.
I reperti, già esposti nell’ampia e luminosa
sala del piano terra, offrono al visitatore
un viaggio tra la Mantua romana, gli
insediamenti del territorio precedenti alla
sua fondazione, dal Neolitico ai Celti,
conducendo a ritroso sino alle testimonianze
della antica origine etrusca della città.
La sala che accoglie la mostra esalta
l’eccellenza architettonica dell’intero
edificio con le sue ampie vetrate affacciate
sulla mole del Castello di San Giorgio,
reggia dei Gonzaga. Il Museo è infatti
ospitato dentro Palazzo Ducale e si affaccia
su Piazza Castello verso la Basilica
Palatina di Santa Barbara.
La storia dell’edificio ripercorre due
secoli di grandezza gonzaghesca, avendo
ospitato dal 1549 il Teatro di Corte
(commissionato dal cardinale Ercole Gonzaga
all’architetto mantovano Giovan Battista
Bertani) che ha subìto almeno tre
distruzioni, e successive ricostruzioni,
avvenute tra il ‘500 ed il ‘600. A fine
Ottocento, viene destinato a Mercato dei
Bozzoli dall’amministrazione comunale,
considerata la necessità di trovare una
adeguata sistemazione al commercio del baco
da seta (allora ampiamente allevato nelle
campagne mantovane); successivamente fu sede
del Mercato Ortofrutticolo di Mantova.
In tempi più recenti, il Comune di Mantova,
recependo la necessità di istituire uno
spazio museale che ospitasse l’ingente
patrimonio archeologico di cui è ricco il
suo territorio, ha donato l’edificio allo
Stato affinché avviasse una importante
ristrutturazione per la trasformazione degli
spazi nell’attuale Museo Archeologico
Nazionale, aperto al pubblico dal 1998.
Il progetto di recupero architettonico del
complesso, conclusosi nel 2010 e che oggi si
può ammirare, ha realizzato pienamente
l’obiettivo di conservare le caratteristiche
di continuità architettonica e di contesto
di un notevole esempio di architettura
paleoindustriale di fine Ottocento,
mantenendo l’aspetto esterno originario e la
struttura interna a capriate sorretto da
pilastri disposti su due file mentre,
all’interno, sono stati ricavati tre solai
per utilizzare in maniera ottimale gli spazi
interni, lasciandoli ampi e luminosi.
Oltre all’esposizione di collezioni di
reperti che spaziano dal neolitico e
dall’età del bronzo all’epoca etrusca,
celtica, romana, medievale e rinascimentale,
dal 2014 si possono ammirare all’interno di
una teca in cristallo gli “Amanti di
Valdaro”, scheletri del neolitico di un uomo
e una donna così chiamati perché rinvenuti
abbracciati, ritrovati nel 2007 presso
Valdaro, località vicina a Mantova. |